Monday 27 October 2014

Diario di una mamma autosvezzante/2

Mi sono fatta portavoce entusiasta del BLW per anni e lo sono ancora.
Non mi sono mai preoccupata che la B mangiasse abbastanza quando era piccola o che si strozzasse o cose così e mi sono gonfiata di orgoglio quando a poco più di un anno mangiava a tavola di tutto con la forchetta e il cucchiaio. Alla faccia di chi mi aveva dato contro. In tutta questa cosa del BLW, mi autostringo la mano per aver tenuto fede ai miei principi, nonostante lo scetticismo in famiglia, l'asilo a 7 mesi e la pompa per il latte nel bagno a lavoro.
Però quando l'anno scorso, di punto in bianco, la B si è trasformata in una gigantesca bega a tavola, ho iniziato a infilare una serie di errori e oggi che ho letto questo post di Andrea, mi si profilano tutti davanti uno più madornale dell'altro.
La frase 'se non assaggi, non lo sai' è stata detta e ridetta alla mia tavola, insieme a molte altre appartenenti alla sfera dei clichè gastronomici. Ho anche spesso offerto la forchetta con il cibo già infilzato della nuovo pietanza appena cucinata, puntualmente rifiutata.
È così facile cadere nella trappola del gioco di potere genitore/figlio, del vergognarsi del figlio riottoso, del sentirsi giudicati pessimi genitori. Questa cosa del BLW, che comunque continuo a ritenere un successo nel mio caso, per me è stato un po' come cosa succede dopo il lieto fine di qualunque favola abbiate letto. Un po' come vedere la principessa sfavata perchè le smancerie del principe azzurre le hanno, tutto sommato, un po' rotto le palle. Il lieto fine per la mia piccola BLWer è stato intorno all'anno e mezzo - due...
Adesso le cose vanno assai meglio, anche se non sono tornate ai fasti di un tempo, ma se solo mi fossi fermata a riflettere che baby led weaning è baby led anche se il baby è alto un metro e parla due lingue, sarei stata una madre migliore.



Saturday 25 October 2014

Free to a good home

Il primo a partire è stato il Moses basket. Lo avevamo preso in una rara giornata di estate londinese, da una freecycler che viveva in una splendida casetta a Wandsworth, quando la mia pancia conteneva Jacopo, vivo, vegeto e scalciante. Mi ricordo addirittura come ero vestita. Erano le prime cose che iniziavamo a raccogliere. Quel giorno, io e John tornammo a casa con un sacco di accessori che non avremmo mai usato, a parte quel Moses basket. Quello fu conservato in un grande sacco nero, in un angolo nascosto, dietro il divano della nostra casa sul fiume a Eyot Gardens. Fu trasportato, un po' rattoppato, a Brentford. Pulito e profumato per accogliere la Bianca. Quando è stato il momento di traslocare oltreoceano, non ho avuto il cuore di disfarmene e me lo sono portato con me, insieme a un sacco di cose forse inutili. Fabio non e' mai stato particolarmente entusiasta di dormirci, quindi appena è diventato un poco stretto è stato passato a un'altra mamma propensa alla riduzione degli sprechi.
Poi è stata la volta della vaschetta. La vaschetta ha una storia diversa perché per Jacopo non prevedevamo di prenderla, visto come era fatta la casa. Arrivò invece insieme alla Bianca, a mia insaputa, con una mandata di oggetti che per lo più ho trovato inutili e mai usato. La vaschetta invece è stata parecchio utile. La Bianca ci ha sguazzato per oltre un anno, fino a che non ha imparato a farsi la doccia. Per Fabio invece era già inutilizzabile da un po',  perché il ragazzo è esagitato e adora sguazzare come un pesciolino e quindi per lui va già bene la vasca grande.
La sdraietta ci ha salutato l'altro ieri. Presa a pochi giorni dalla nascita della Bianca da un altro freecycler, ha salvato quasi tutti i miei pranzi a Londra, perché la Bianca adorava stare seduta a farsi dondolare e a guardarmi. Il fratello invece si scocciava dopo poco e adesso che sta seduto, si tuffa di sotto. Alla seconda capocciata è stato chiaro che anche la sdraietta aveva fatto il suo tempo. Ha continuato il suo viaggio in un'altra casa - Free to a good home è la formula che sono solita usare negli annunci.
Partiranno a breve altri sacchi di vestiti, la fascia da neonato e chissà quali altre cose che deciderò che non servono più. È triste e allo stesso tempo non lo è. Di sicuro è il segno tangibile dello scorrere del tempo e marca la chiusura - forse temporanea o forse no - di una fase della mia vita.

Wednesday 22 October 2014

Di quando una vorrebbe incenerire tutto il guardaroba

Quello che mi sto apprestando a scrivere è un post di gretta auto commiserazione, ma penso di averne bisogno.
Fare figli è indubbiamente meraviglioso.
Ritrovarsi il corpo che ci si ritrova dopo che i figli sono usciti, molto meno.
Non riesco a prenderla per il verso giusto. Hai voglia te a cercare di convincersi che il corpo porta i segni del miracolo della vita, che a una certa età che cosa ti aspetti, che se ti metti a dieta e ci lavori sopra magari riesci a tornare più o meno (più o meno) come eri. Io non me ne faccio una ragione, mi faccio schifo. Non mi compro nulla di vagamente femminile da un anno e quasi mezzo, anzi, non mi compro quasi nulla da allora, tanta poca è la voglia che ho di provarmi cose davanti a uno specchio. Di dieta non se ne parla, e non solo perché allatto, ma perché non credo di esserne capace. Fondamentalmente io ho fame e mi piace mangiare. Esercizio fisico ci provo, nei limiti del tempo e delle possibilità: sono stata qualche volta a capoeira, a fare power walking e in bicicletta. Faccio anche planking ogni tanto, ma per ritirare su la situazione, qui, serve esercizio costante e io non ho banane, spesso sono stanca e trovo scuse bieche per saltare il turno e i bambini intorno non sempre aiutano a vincere la pigrizia.
Oggi sono stata costretta da un evento non calcolato a acquistare qualcosa di un po' piu' delineato di un sacco e questo post ne è il tragico risultato.
Se qualcuno ha qualche idea di cosa si possa fare per sentirsi belli nonostante il cedimento dei tessuti, me lo faccia sapere, per piacere.

Friday 17 October 2014

Diario di una mamma autosvezzante

A questo giro mi tocca.
L'altra volta ho fatto la gnorri, ma oggi mi sento che anche questa esperienza va condivisa.
Disclaimer: lungi da me voler evangelizzare qualcuno! Questo è il mio blog e riporto solo cronache, pensieri e esperienze.
Come alcuni avranno intuito, il mio metodo di maternage non è completamente mainstream. Nemmeno troppo strano a dire il vero, ma qui oramai mi hanno etichettato come quella con le cose alternative. La mia alternatività si manifesta sopratutto nell'uso dei pannolini lavabili.
Quando però, all'ennesima raccomandazione di borsa porta-cambio munita di scomparti per biberon e pappette, ho dovuto annunciare che io pappette mai ne ho fatte in vita mia,  siamo entrati diretti come fusi in argomento Baby Led Weaning (BLW) / Autosvezzamento (AS). Allora si che tutti si sono convinti che sono alternativa e possibilmente matta.
In verità il BLW non ha nulla di alternativo. È il metodo di introduzione dei solidi più vecchio del mondo, quello che si usava prima che la società decidesse che alimentare un bambino equivalesse a medicalizzarlo (poppate a orari con tot di latte/latte artificiale/svezzamento precoce/baby food).
Nel BLW, quando un bambino mostra interesse per il cibo di famiglia, sta seduto senza aiuto e è capace di portarsi le mani alla bocca, gli si offre da mangiare. E lui, con calma, i suoi tempi, le sue capacità, mangia. O mangerà, quando sarà in grado di gestire il boccone e ingoiare.
No, non si strozza.
No, non lo so quanto ha mangiato.
No, non sostituisco la poppata e allatto ancora lo stesso numero di volte, che però non so quanto è perché allatto a richiesta e la richiesta  cambia a seconda del giorno.
Questa è l'intro.

Con Fabio da qualche tempo abbiamo iniziato.
Oggi spaghetti.
Questo è il risultato
Bimbo che mangia
Bimbo che ha mangiato
Se l'osservatore attento fa la sottrazione del numero di spaghetti sopra e sotto il seggiolone, può concludere quanto spaghetto/netto è andato in corpo.
Però lui si è tanto divertito.

Tuesday 14 October 2014

L'ignoranza è un bene

Di fronte a una nuova sfida, confronto, esame di sorta, il mio cervello funziona negando il negabile.
Non so nulla, non voglio sapere, non voglio andare, voglio restare nella mia beata ignoranza e nel torpore delle serie TV.
Questo stato di negazione persiste finché non si arriva alle porte con i sassi, quando lascia il posto a panico concitato e molesto, corroborato, di solito e per fortuna, da una discreta dose di produttività.
Poi il panico velocemente smonta in un misto di menefreghismo coatto e di delirio di onnipotenza in cui le frasi "m'importa una sega" e "sono imbattibile" si alternano, lampeggiando a caratteri cubitali davanti a due occhi, i miei, a quel punto iniettati di sangue e follia.

Questo circolo aureo si ripete per qualunque cosa debba affrontare, da un viaggio intercontinentale itinerante da sola con 2 bambini e 6 valigie, a un esame medico o un colloquio di lavoro. Se non altro il vantaggio è che sto (quasi sempre) tranquilla fino a che non è troppo tardi per tirarsi indietro e a quel punto che sono in ballo... ballo. Lo svantaggio è che quasi mai sono sufficientemente preparata a affrontare quello che mi si para davanti e questo fa si che debba spesso ricorrere a una buona dose di improvvisazione.
Tale dote mi ha salvato in passato in numerose occasioni, tipo alle interrogazioni al liceo, però mi pare con gli anni stia perdendo il suo smalto. Speriamo che non mi lasci a piedi nel prossimo futuro.

Di sicuro noto un cambiamento in questo incipit dei miei secondi 40 anni: il tempo di dimostrare per me è finito. A chi piaccio piaccio, a chi non piaccio pace. Sento che per me è arrivato il tempo di sedersi, gongolare e possibilmente godersela - pur rimettendosi in gioco, quello sempre.

Friday 3 October 2014

A volte bisogna sputare fuori veleno

"C'è un posto dentro te in cui fa freddo, è il posto in cui nessuno è entrato mai, quella che non sei"

Ho sempre pensato che queste parole di Ligabue mi descrivessero alla perfezione e non mi sono mai capacitata di come le persone che avevo più vicine non lo vedessero. Era così chiaro. Eppure le lacrime che puntualmente scendevano ogni volta che quella frase risuonava nell'aria, hanno sempre colto tutti di sorpresa.

Oggi ho letto un post che mi ha ricordato che quel posto, gelido, oscuro, sepolto chissà dove, è sempre lì e lì sempre sarà.

La mia mamma è morta che aveva esattamente la mia età, anzi no, qualche mese di più. Aveva 40 anni e 9 mesi. La mia età più il tempo che le ci era voluto a fare me. Ho sofferto tutta la vita la sua mancanza, come è ovvio che sia. Da quando però sono mamma, non faccio che pensare a come si debba essere sentita lei quando ha saputo che inesorabilmente non ci avrebbe visto crescere. Quella rabbia che alberga dentro di me da sempre, ha preso nuovi contorni e raggiunto nuove sfumature di nero.

L'anno scorso scrissi un post su come, inconsciamente, abbia sempre pensato che avrei subito lo stesso destino di mia madre. Lo penso sotto sotto anche ora e questo spiega molto del mio iper-cinetismo o della mia avversione verso i medici. Ma se solo sfioro il pensiero di dover lasciare i miei figli, sento che quel buco nero diventa una voragine immensa e senza fondo e ho paura anche solo a affacciarmici.

Eppure prima o poi dovrò prendere il coraggio a due mani e tuffarmici dentro, con la speranza di risalire e essere una persona migliore.