Thursday 10 November 2016

Make America Likable Again

questa mi era piaciuta di piu'
Ieri ho preso la giornata libera e non ho letto o scritto nulla. Ho solo versato un paio di lacrime ascoltando il concession speech di Hillary. Io non ho votato, come al solito - fatto che sta diventando abbastanza frustrante - ma ho vissuto queste elezioni 2016 in primissima persona, a lavoro, alle scuole dei miei figli, fra gli amici aventi diritto al voto e non.
Ieri mattina l'atmosfera era surreale, gente con gli occhi cerchiati di nero dalla notte insonne, che scuoteva il capo e diceva: "mi dispiace". Messaggi su messaggi sui miei social e sulle mie messaggerie da parte di amici, conoscenti, gente a caso che voleva sinceramente sapere e capire, dare opinioni, o piu' semplicemente sparare a zero. Ho cercato di tenermi lontana dal qualunquismo di certi discorsi  ("che cosa ti aspetti dagli Americani"), ho condiviso pacamente la mia opinione, ma sono rimasta molto piu' infastidita del dovuto dal sarcasmo. 20 anni di Berlusconi mi hanno tolto la voglia di giustificare perche' un soggetto del genere possa anche solo pensare di essere candidato. Ed e' per questo che ve lo faccio spiegare da qualcun altro: 
ecco perche' Trump ha vinto le elezioni del 2016, leggetelo qui (articolo).
Spot on. 
C'e' solo da aggiungere che, nonostante a me lei piaccia assai e penso avrebbe dato un calcio a questo paese nella giusta direzione, soprattutto per la popolazione femminile, Hillary Clinton rappresenta la vecchia politica e questo alle "elite" dell'articolo linkato (lo avete letto vero?) non piace.
Un paio di punti e poi dico quello che mi preme dire.
Trump non e' un dittatore, per ora, e' un presidente di un paese democratico. Il che significa che non si puo' alzare una mattina girato di coglioni perche' il materasso del letto della Casa Bianca ha fatto venire il mal di capo a Melania e cancellare l'Obamacare, dichiarare guerra alla Cina o rimpatriare gli Italiani perche' sono sudici e dicono parolacce (true story). Inoltre, da buffone quaquaraqua quale sembra essere, prendera' toni molto piu' moderati su svariti punti. Perche' a chiacchierare siamo tutti buoni, poi c'e' da governare. 
Per il momento, quindi, cerchiamo di non indulgere in inutili allarmismi, o, almeno, non aspettateli da me. Non avrete nemmeno parole di odio, sgomento e rabbia, perche' ho esaurito le mie risorse di fede nel buonsenso con martedi' notte. Ce ne erano rimaste poche, del resto, dopo il Brexit e i fatti di politica Italiana (family day in primis). 
Martedi' ero anche sola in casa, marito in New Jersey, bambini a letto, bottiglia di vino, dito fremente che cliccava in maniera ossessiva compulsiva gli aggiornamenti. Una serata molto triste. Ma fra tutti gli "o mamma" "che disastro" "vado in Canada" "'cazzo fai America?" ho avuto modo di riflettere su un po' di cose. 
1) I Trump supporter vivono una realta' che a me e' ignota. Chi e' questa gente? Cosa pensa?  Io, e la classe politica di "sinistra", i democratici e liberali, non ne abbiamo idea. Noi, elite di persone che vive nelle aree urbane, che ha come minimo una laurea, che e' abituata a elaborare pensieri indipendenti, a questionare, a fare polemica, non abbiamo fatto, evidentemente, lo sforzo di capire quella realta'. L'abbiamo semplicemente bollata come composta da una massa di caproni. Come quelli che hanno votato "brexit" in UK, o che inneggia ai Family day. E abbiamo perso. Perche' quella massa e' bella larga.
2) La legittimazione di odio, razzismo, sessismo, omofobia e generale isolazionismo e' il vero dato allarmante di queste elezioni. Ma c'era lo stesso, anche se Hillary avesse vinto ed e' un fenomeno che va, purtroppo, al di la' dei confini degli Stati Uniti. E non e' certo nuovo, perche' in tempi bui, ci si chiede la porta di casa alle spalle, con chiave e chiavistello. 
3) Io non ho votato, insieme a una percentuale altissima di legal US residents che pero' non prende la cittadinanza per i motivi piu' svariti - non ultimo il sistema di tasse. Io, come la maggior parte dei sopracitati, facciamo parte dell'elite di cui sopra, quella che snobba i caproni trumpiani ed e' strutturalmente democratica. Forse e' il caso di mettersi doppia mano sulla coscienza, non lamentarsi e agire. Ed e' per questo che, penso, appena possibile, prendero' la cittadinanza americana cosi che alla prossima elezione, votero'. Ah, e mi evitero' le file alla dogana.
Voglio chiudere questo post, qualunquista, di cui nessuno sentiva il bisogno, con una nota positiva.
Il mio Facebook e' composto in maniera smisurata da amici inglesi e italiani (viventi ovunque) e solo recentemente sono iniziati ad apparire amici americani veri, quelli che hanno diritto al voto, per intendersi. I loro post, all'indomani della cocente delusione della perdita di Hillary, che nessuno - in tutta coscienza -si aspettava, hanno srotolato davanti ai miei occhi la profonda differenza fra noi e loro; fra chi, come me, e' cresciuto a pane e assistenzialismo e chi a fried-chicken e capitalismo . Dopo le lacrime di rigore e i commenti, sempre molto intelligenti e pacati - l'elite di sopra, remember? - , la maggior parte ha iniziato a postare link di organizzazioni no-profit da finanziare (climate-change in primis, ma anche gun control e sostegno alle minoranze). Perche' se il governo non ci pensa - e non ci pensera' - ci si pensa da noi. Out of pocket. Perche' noi abbiamo potere di intervento sulla realta' che ci circonda, senza aspettare che qualcun altro ci pensi per noi. 
Perche' alla fine siamo 'stronger together', slogan democratico di queste elezioni, candela a cui appigliarsi se il buio del tunnel dovessere diventare pesto assai, sentimento suggellato negli abbracci di ieri mattina alle 8 nemmeno davanti alla scuola elementare pubblica di Houston, Texas, USA.  

Tuesday 18 October 2016

We care about your memories

Oggi Facebook, con cui ho un rapporto amore odio, ma che ancora non ho mandato definitivamente a cagare perchè unica mia fonte suprema di conoscenza, mi ha dato il buongiorno con questo.
5 anni fa, oggi, sentivo il bisogno di aggiornare il web che ero sulla via dell'aereoporto. Con la Bianca. Che aveva poco più di due mesi e che prendeva il suo primo aereo, British Airways, rotta Londra-Pisa.
L'anno prima, oggi, mi scadeva il tempo del suo fratello ed avevo fatto un sacco di progetti di passare mesi in Italia, nella mia casa di Firenze, con il bambino neonato, a godermi gli idilli della maternità. L'anno prima tutti quei sogni e quei progetti erano andati a puttane ed era una beffa. Lo schiaffo finale. La calcio nelle costole a quello che già rantola per terra in preda a un infarto.
L'anno dopo mi accingevo a spolverare qualcuno di quei progetti, ma il cuore era pesante e la bocca amara. Sapeva di minestra riscaldata, di festa rimandata, di qualcosa che aveva un retrogusto patetico. Ero patetica, che cosa cercavo di fare? Quello che era stato era stato, tutto era andato a farsi fottere, tanto valeva stasersene a Brentford Docks con le papere e le nuove amiche.
Ma in Italia sentivo il dovere di andare, per far conoscere la bambina alla nonna e ai parenti, nonchè alle flotte di amici che non sapevano nemmeno che fosse stata in arrivo.
Mi ricordo benissimo quel giorno di cinque anni fa, anche senza l'aiuto di Facebook, come una giornata amara. Nonostante l'emoji con il sorrisino di circostanza.
In Italia passai quindici giorni, dormendo sul divano della mia sorella, e andò benissimo. Avevo decine di amici che non mi vedevano da più di un anno, da quando esisteva ancora la vecchia me, che non osavano chiedere come andava, ma che erano sinceramente preoccupati e ansiosi di vedere che faccia avesse quella nuova me.
Andò benissimo.
La Bianca dormì per quasi 15 giorni filati, buonissima, ovunque, conquistandosi il titolo di pupattola finta. In retrospettiva, forse, conoscendola ora nello splendore dei suoi 5 anni e due mesi, per lei c'era semplicemente troppo casino e troppa gente e, saggiamente, decise di salutare la curva e dormire. Lo fa ancora, di mettersi da parte a farsi i cazzi suoi, quando la situazione non la soddisfa e gli amici diventano troppo entranti.
Io andai a mille cene/pranzi/colazioni/aperitivi, vidi tutti o quasi e rimisi un po' di conti. Qualche programma sfumato l'anno prima fu messo in atto. Qualche lacrima fu versata. Molta Toscana venne percorsa in macchina, in solitaria, io e quel cosino nel seggiolino che se la ronfava.
Sì, ha avuto tutto il tempo il sapore della festa di compleanno rimandata per condizioni metereologiche avverse, quando spengi le candele, ma lo sai che non è più il tuo compleanno e ti ricordi di quanto il tuo compleanno vero abbia fatto cacare, perchè eri sola in una stanza a piangere davanti a una candela spenta. Ma una festa, anche se rimandata è una festa. E i demoni vanno prima o poi guardati in faccia per sputargli fra gli occhi.

Sunday 9 October 2016

4 borse, 2 bambini e una macchina in Colorado


Avevo iniziato a tenere un diario di viaggio di quelli fatti bene, solo elettronico, perché esperienza da mamma viaggiatrice mi insegna che il diario di viaggio di questi tempi si scrive quando i figlioli dormono e la luce è, quindi, spenta.
Ho riportato con dovizia di particolari il viaggio in macchina da Houston a Santa Fè, con cena al ristorante vegano di Forth Worth e sosta notturna al motel di Wichita Falls, poi mi si scaricato il computer appena messo piede a Grand Junction. Qui ho realizzato che avevo inesorabilmente perso il caricabatterie, probabilmente lasciato nell'ostello di Santa Fè, unico AirbBnB che si guarda bene dal rispondere ai messaggi. Quindi tutto è andato narrativamente perduto ed ho deciso di documentare il viaggio in maniera social e globalizzata, postando foto di paesaggi mozzafiato e bambini sudici su FaceBook. Peccato che da FaceBook non trapelino fantozzate e figuracce, aneddoti e commenti, stupore, ammirazione, incazzature e battibecchi.
Nel primo trekking a Mesa Verde National Park, il ranger ci ha fatto notare che tipo di genitori immondi eravamo a tentare la discesa nel canyon con un bambino piccolo senza cappello. Abbiamo perciò comprato un cappello da Junion Ranger, rassicuratato l'apprensiva signora che ci stavamo avventurando nella selva oscura con sufficiente provvigione di acqua e iniziato la discesa, al seguito di una famiglia munita di nonna, neonato in marsupio e una manica di ragazzini. Questo trekking non doveva essere poi così terribile. Infatti ce la siamo cavata, con un po' di difficoltà sui gradoni, qualche lamento verso la fine, ma tutto sommato senza grossi intoppi. Bambini crollati di stanchezza a tavola. Nanna in un piccolo motel di provincia a Cortez, a 10 min scarsi dal parco. Missione compiuta.
A Grand Junction ci siamo avventurati al Colorado National Monument, con tanto di trekking culminante su una roccia che si chiama Devil's Kitchen - notevole - dove abbiamo incontrato una mamma con 5 figli dai quattro anni in su, che si arrampicavano come capre svizzere in ogni dove, seguiti senza indugi dalla B. F dopo qualche tentativo, ha asserito, in italiano rotto, che la montagna è grande e lui è piccolo e che si sarebbe seduto lì a mangiare i goldfish. E così è stato, senza se e senza ma. La giornata è proseguita fra polvere e meraviglia, scandita da vari avvistamenti di falchi pellegrini, ossessione del momento dei minori di famiglia. Ne abbiamo avvistati a decine, anche perché la  categoria copre ogni pennuto, dai corvi alle aquile reali.
Dopodichè c'è stata una giornata di intensa guida, per la strada fino a Denver, fra boschi e laghi, cittadine montane che ricordano molto quelle delle Dolomiti e meraviglie varie. Denver, così come Bolder, sono state belle scoperte inaspettate. Uno crede che le città americane lascino il tempo che trovano. Tutte quante, eccetto forse New York e San Francisco. Cazzata, quest'ultima, da europeo con la puzza sotto il naso. Certo non trovi il paesino medioevale con resti romani, ma trovi città che sono città, dove cammini fra monumenti, musei e arredi urbani, fai shopping e ti fermi a bere il caffè. Denver e Bolder sono fra queste, con l'aggiunta che sono popolate da gente costantemente agghindata in abbigliamento sportivo, tante volte ci fosse da scalare una parete e fare un giro in mountain bike, fra un drink e un colpo di carta di credito. I playground, a Bolder, sono pareti da arrampicata. Mi sembra di aver detto abbastanza.
La strada si è poi svincolata fra altri due parchi notevoli: il Garden of the Gods e il Grand Sand Dunes Natioanal Park, dove l'hiking di un certo livello ha lasciato il posto alla passeggiata con il passeggino o al rotolamento giù da immense, quanto inattese, dune di sabbia. Non è potuta mancare la fantozzata finale, costante di ogni nostro spostamento. La mattina dell'ultimo giorno, quando il programma era tornare a fare sand boarding sulle dune prima di dirigersi verso il Texas, la macchina non si è messa in moto. Sì, eravamo in un AirBnB in mezzo al nulla. No, non era la batteria. Abbiamo passato l'ultimo giorno di ferie bloccati in una cittadina non proprio esilarante, con l'ansia di non poter ripartire. Quel motore che si accendeva, alle 4 del pomeriggio, è stata la più soave delle musiche. Da qua è stato tutta guida fino a casa, dove un ospite e un meeting di lavoro ci attendevano due giorni dopo.
È stato meraviglioso, rilassante, esilarante, non troppo faticoso, rinfrescante e divertente. Una delle migliori vacanze degli ultimi anni, senza dubbio. Un viaggio con la V maiuscosa, quasi - quasi eh - come ai vecchi tempi. Fattibile con i bambini. Alla scoperta di parti bellissime degli States, che da europei nemmeno sapevamo potessero esistere. One State down, many more to come.

Friday 30 September 2016

Spelling creativo

Si chiama "imaginative spelling".
Le parole vengono scritte con i suoni, esattamente come si fa in italiano, con l'unica trascurabile differenza che in inglese lo spelling è complicato, talmente complicato che alle elementari si tengono dei campionati.
L'altra sera la B si è messa al suo tavolino con la testa china e non la si è sentita per più di un'ora. Quando finalmente si è palesata in cucina, aveva in mano una serie di bigliettini, con dei disegni e delle didascalie scritte da lei, che mi chiedeva di rilegare in un libretto.
Ad opera compiuta, mi sono messa a leggere cosa aveva scritto: c'erano parole sparse, la lista dei colori che hanno ultimamente imparato a scrivere correttamente, e poi frasi di vita quotidiana, tipo "la mamma mi porta a scuola a piedi la mattina", solo che lo spelling era a dir poco estroso, quando non proprio esilarante.
Mi sono morsa le labbra per non fare correzioni, mi sono complimentata per l'impegno e non ho nemmeno accennato alla possibilità di errore.
10 minuti dopo, ho scritto una mail alla maestra.
Non sono madre lingua inglese, come è ovvio. Questo comporta che, sebbene - suppongo possa ammettere - parlo e scrivo in maniera fluente, non ho idea di come l'inglese scritto venga insegnato. Nè tantomeno posso immaginare come si possa insegnare a leggere. Questo "non avere idea" mi dà talvolta pensieri, perchè è chiaro che i miei figli, a scuola, faranno parecchio da sè. È ironico che si ritrovino esattamente come me a suoi tempi, nonostante i loro genitori siano entrambi dottori di ricerca, mentre la mia zia aveva a malapena finito le elementari.
Ma insomma dicevo, ho scritto una mail alla maestra, chiedendo che cosa si deve fare in questi casi, se correggere le parole scritte male - e se sì come - o lasciare perdere e non intervenire, cosa per la quale in materia scolastica propendo sempre fortemente. Io la vedo che le maestre insegnano, mentre le mamme fanno le mamme. Lei mi ha spiegato quella cosa dell'imaginative spelling e mi ha rassicurato che si corregge da sè. Come, sono curiosa di vedere.
"Great Question!We call this imaginative spelling.  Basically, they write down the sounds they hear in order to spell the word.  This is wonderful and you do not need to correct her.  It will correct on its own"
Intanto, un quesito per tutti voi:
chi indovina i 10 animali della foto?

Wednesday 28 September 2016

Been in the USA a little bit too long?



Hai presente quella serie di pubblicità della Britsh Airways : "when you call it soccer, it's time to come home" e molte altre su questo stile. Ecco, quella è un'agenzia pubblicitaria che sa fare il suo lavoro, a differenza di quelle a cui si affida la Lorenzin. 
Sono stati due anni e mezzo senza una punta di rimpianto. Felice e serena di essermi lasciata alle spalle te, i bus, i cielo grigio, i treni, i casino creato dai tuoi 10 milioni di abitanti, le lunghe ore di pendolarismo e la frutta insapore.
Mi ci sono voluti due anni e mezzo per iniziare a rilassarmi, per essere capace di passare una domenica in casa senza fare nulla, anche se fuori c'è il sole, anche se c'è un festival e anche se potrei andare al mare, in piscina, al parco, a visitare cose e vedere gente. Si chiama "missing out syndrome" e, a quanto pare, ti piace infettare tutti quelli che capitano a calpestare il tuo suole e sono talmente coraggiosi da restare per piú di un paio d'anni. Insomma stavo proprio bene, qui al caldo, con la mia macchinona e la mia vita da mammetta di alto borgo, quando, tutto d'un tratto, mi sei tornata in mente.
Nelle cose belle.
Nei pub sul fiume, nei parchi con i cervi, nello splendore del South Bank, nelle scale di Saint Paul, nelle luci di Soho e le porte di China Town. Nel cielo blu, che e' raro ma splendente. E mi stai iniziando a mancare, mannaggia a te; classica malinconia da emigrante che guarda il tramonto sull'oceano pensando a casa lontana. Evidentemente sei sempre un po' casa, evidentemente sono stata via troppo tempo ed e' ora di tornare.
Ci vediamo presto, Londra.


Non aiuta che John mi abbia mandato oggi le foto di casa mia!

Sunday 18 September 2016

E siamo al sesto 18 settembre

Caro Jacopo,

oramai ci sentiamo una volta l'anno, su questo blog che era nato proprio per te.
Anche quest'anno la giornata è passata sottotono, almeno per me.
Sono giorni sempre complicati, pieni di tristezza, pensieri per quello che poteva essere, paura per quello che sarà.
Oggi non abbiamo fatto niente, solo un pranzo tardivo al diner preferito del tu babbo. Ho chiesto alla B se vogliono un altro fratello e lei mi ha detto che ce l'hanno già nelle stelle - l'altra volta che glielo avevo chiesto mi aveva detto di no, che sennò tutti la picchiano, stiamo in qualche modo migliorando-.
Allora le ho detto che era il tuo compleanno, ma mi pare che la cosa l'abbia lasciata solo confusa e quindi ho lasciato perdere. Suppongo che per lei *compleanno* significhi *festa*.
Per me *compleanno* significa *memoria*. L'unico giorno l'anno in cui mi concedo di sedermi e scriverti una lettera di getto, come si fa a un amico lontano, che non si vede mai, ma con cui ci sentiamo sempre vicini vicini. Scrivo con gli occhi lucidi e la testa che vaga. È per questo che questa lettera ti sembrerà sconclusionata.
Insomma, dicevo, sono giorni un po' così, sempre saturi di riflessioni. L'anno scorso mi chiedevo chi fossi, quest'anno mi sono prese mille paure, più o meno razionali, sul futuro. Ho avuto anche la malaugurata idea di prendere tutti gli appuntamenti di vari check-up annuali in questi giorni, così sto anche qua con l'ansia dei vari risultati e la testa piena dei pensieri lugubri che ben conosci.
C'è però una aneddoto bellino, se non altro, su questa giornata.
Mentre eravamo a cena è andata via al luce su tutto il blocco di appartamenti. Un buio pesto a cui nessuno è abituato. Prima abbiamo usato i telefoni e il computer per raccapezzarsi e poi mi sono ricordata che avevo una candela, la tua candela, che mi era stata regalata dopo poco la tua nascita per la giornata del "Pregnacy and Infant Loss Awareness". Me la ero portata dietro in capo al mondo, intatta. Stasera ho pensato che quel black-out improvviso fosse un segno del fatto che la dovessi accendere. Magari non era solo che nel blocco accanto c'era stato un prosaico guasto, magari c'avevi voglia di stare a cena con noi, la sera del tuo compleanno. E allora, a lume di candela, abbiamo mangiato il gelato e i tuoi fratelli hanno cantato a squarciagola canzoncine di tutti i tipi, guardando la fiamma e giocando a fare le ombre cinesi sul muro.
Adesso loro sono a letto, la luce è tornata, la candela è al sicuro e io mi sono messa a scriverti, cullata dal consueto rumore della lavastoviglie.
Come ogni anno, fra due giorni è il mio compleanno, che, come al solito, segnerà in qualche modo il momento in cui decido di rinfilare la tristezza in fondo la cuore, di rimboccarmi le maniche e andare avanti. E, diodiddio, se i risultati dei check-up vanno bene, ricordami l'anno prossimo di fissarli d'ottobre.

Stai bene, lassù nella luce.
Mamma

Wednesday 31 August 2016


Non so da dove cominciare. Sono giorni che ho sulla punta della lingua di dire la mia, ma poi mi trattengo. Anche questo post l'ho iniziato almeno tre volte e poi cancellato. "Fatti i cazzi tuoi", mi dico, che il web è pieno di opinionisti dell'ultim'ora e davvero non si sente il bisogno che tu ti unisca al coro.
E infatti anche questa volta ho cancellato il post.
I commenti sul terremoto in centro Italia, tutta la manfrina del burquini, l'ondata di odio razziale e, fresca come l'ova, l'offensività del Fertility Day mi hanno tolto la parola, la voglia di fare polemica, di scambiare opinioni, di elaborare concetti e quasi quasi anche di andare in vacanza in toscana.
Sono allibita e triste.
Il mondo intorno a me impazzisce e io sto a guardare, impotente.
Domani mi metto a scrivere il post sulle vacanze in Colorado e sulla prima settimana di scuola della mi figliola, che mi pare meglio.


Monday 22 August 2016

Primo giorno di scuola


Non mi ricordo che giorno fosse, ma un primo giorno di scuola delle elementari, forse la quarta. Il giorno prima, per festeggiare la fine delle vacanze,  andai a uno spettacoletto con l'amica del cuore di allora e c'era una canzoncina che faceva

"Primo giorno di scuola
eccoci ancora tutti qua
sopra i banchi a soffrire
come invidio la mamma ed il papà
Ma oggi mi ribello
ed un inno all'estate farò
evviva il mare, evviva i monti
abbasso la scuola perchè
solo in vacanza noi siam contenti
ragazzi cantate con meeeee"

Alta poesia, come si può notare, ma, oh, m'è rimasta appiccicata in testa qualcosa come 35 anni.
35 anni dopo, oggi, ero io la mamma presunto oggetto di invidia e mi sono ritrovata invece in fila con un monte di nanetti di cinque anni e fin troppi genitori in esubero, a invidiarli tutti quanti, così all'inizio del loro percorso del sapere.
La scuola americana per noi è un grande punto interrogativo e, suppongo, sarà oggetto di molti post negli anni a venire. Per adesso posso solo parlare delle impressioni del primo giorno di scuola, non mie, ma della mia cinquenne, che ha detto che è stato tutto bellissimo, che avevano delle collane con i nomi per imparare a conoscersi, che andare al bagno è OK perché sono bassi e basta sedersi e sono infondo al corridoio, che mangiare alla mensa è facile e c'era il latte al cioccolato, che lo snack con il pecorino di Alimena era squisito e se per favore poteva leggere da sola a letto dei libri nuovi. Ah, anche prendere il bus per andare al doposcuola era stato facile, che si era messa la cintura da sola e che al doposcuola sapeva già come fare tutto (è una scuola Montessoriana, a cui è ovviamente assai abituata). Quella che ha durato fatica più di tutti, mi sa, sono stata io, oggi, che quella sveglia alle 6.30 da qui a maggio mi ridurrà in poltiglia, temo.


Sunday 21 August 2016

Vacanze estive finite


Ne è passata varia di acqua sotto i ponti in questi mesi estivi.
Prima le tre settimane in solitudine nel caldo houstoniano, annaffiate di film, mostre, musei, pranzi in solitaria e cene in silenzio. Un paio di feste e un paio di uscite a suggellare la ritrovata indipendenza, ma per la maggior parte del tempo me ne sono stata da sola a godermi la pace e assaporare quel ritmo di vita in cui hai una testa che pensa a organizzare la vita di una persona e non quella di 3 e mezzo.
Poi son tornati tutti, è tornato il delirio, la casa sotto sopra, i lego nelle mutande, le briciole sul pavimento e i salti sul divano. Per un giorno e mezzo.
Poi siamo partiti per un epico road trip in Colorado dopo abbiamo macinato chilometri in macchina e a piedi, ci siamo arrampicati su sentieri polverosi, riempiti gli occhi di paesaggi mozzafiato e respirato aria di montagna.
Infine la B ha compiuto 5 anni con annessi festeggiamenti vari, imprevisti e fantozzate.
Stasera, però, tutto questo sembra lontano anni luce.
Stasera tutto quello a cui riesco a pensare è una sveglia puntata alle 6.30, uno zaino troppo grande con dentro una cartellina, un cambio di vestiti e uno snack bag e l'immagine di una bambina che oggi ha pedalato la sua bicicletta fino al museo di scienza, ci ha spiegato che il falco pellegrino è l'unico animale che batte in velocità il ghepardo e che domattina entrerà in classe al suono della prima campanella della sua vita.
Buon primo giorno di scuola.
Sarà un cammino così diverso da quello che ho fatto io, che non vedo l'ora di percorrerlo insieme a te.

Wednesday 6 July 2016

Vacanze estive

Mi sono finalmente ripresa dallo shock del Brexit e dalla maratona di Game of Thrones e mi sono rinvenuta che è luglio e fra due giorni tutta la famiglia parte per l'Europa, lasciandomi qui, sola per 3 settimane (3 SETTIMANE), al caldo e a lavorare, ma libera come un fringuello di decidere all'ultimo momento se andare al Museum of Fine Art, o se andare a vedermi un film, o se - altamente probabile - svaccarmi sul letto con birra e pollo fritto a drogarmi di puntate di uno show a caso fino a tarda notte.
È il secondo anno di fila che questo evento si ripete.
L'eroico marito prende prole e valigie e porta tutti da zii e nonni, alla ricerca dei sapori e odori dell'estate italiana.
L'anno scorso dei 18 giorni da single, posso vantare:
0 pasti cucinati
0 lavastoviglie mandate
2 lavatrici - solo nel weekend -
208 episodi di "How I Met Your Mother" sparati per endovena
1 viaggio a Boston improvvisato e compiuto e
8 cene fuori + vari drink dopo lavoro inanellati.

Lo so che, come del resto l'anno scorso, molte madri inorridiranno per quello che sto per dire, ma io l'anno scorso in quei 18 giorni sono stata alla grande. Mi sono mancati? Mentirei se dicessi di si: mi sono riposata, mi sono divertita, mi sono abbrutita, mi sono riappropriata del mio tempo, in breve, mi sono fatta quintali di cazzi miei senza rotture di palle, notti interrotte, bocche da nutrire e piscia da lavare. Sono stata contenta di rivederli dopo 18 giorni? si molto. Loro sono stati bene? sembra di si. Win-win situation.
Quest'anno mi sono proposta di porre un limite all'abbrutimento selvaggio e di fare almeno un po' di sport, che la scusa che sono una madre lavoratrice impegnatissima viene un po' a mancare. Dato che le uniche incombenze che mi sono state lasciate sono 1) far dare una controllata alla macchina, 2) organizzare la festa di compleanno della Bianca, il programma promette benone.
Fate buon viaggio amori miei, divertitevi tanto, mamma sta qui, vi aspetta e si ricarica per l'anno a venire che sarà carico di nuove sfide.

Wednesday 29 June 2016

London Bridge is falling down


Ho lasciato sedimentare i sentimenti per qualche giorno. A caldo sarebbe stato un post pieno di rabbia e delusione. Delusione di che? Che ti frega a te? Hai un passaporto europeo, almeno per ora, e sei residente permanete in America. A te non si è chiusa nessuna porta. Vero. Ma si chiuderà potenzialmente a molti altri che non potranno vivere quello che io ho vissuto.
Ho chiamato Londra casa per quasi 8 anni. Sono arrivata nel 2006 che quasi non parlavo inglese, che avevo viaggiato, si, molto più della media, ma mai per lavoro. Soprattutto non avevo mai tagliato il cordone ombelicale con Firenze. Invece quella persona che scendeva dal bus a Hackney, 10 anni fa, era una persona che imboccava una strada senza ritorno, solo che ancora non lo sapeva.
Londra era grande, Londra era viva, Londra era multiculturale, aperta, tollerante, innovativa. Londra era il futuro e io mi sentivo, nel 2006 quando ci sono sbarcata così come nel 2014 quando l'ho salutata, fortunata a respirare l'aria dell'ombelico del mondo.
Forte di quella sensazione, non avevo dubbi che mai UK avrebbe votato per lasciare EU.
UK è all'avanguardia, mi dicevo. Certo, Londra non è come il resto di UK, ma quanti inglesi delle periferie ho conosciuto, che, sì, rompevano i coglioni con il proper accent e il tea fatto a modo, ma che erano comunque un passo avanti rispetto a noi, poveri caproni italiani, governati da Berlusconi e pronti a ascoltare qualunque fesseria politica portasse lo stendardo del "ti tolgo le tasse, ti porto fuori il cane e ti trombo la nonna", per citare il Benigni dei tempi d'oro.
Giovedì scorso ho parlato con un po' di amici inglesi, tutti eravamo in vena di battute "ti vogliono vuotare fuori dal paese lo sai?" "ma sono già fuori" "si ma vogliono essere sicuri che tu non possa tornare". Emoticon a linguacce e cuoricini, non sarebbe mai successo.
E poi è successo.
Messaggi increduli fino a tarda notte, non è possibile, ma siamo matti. Sgomento da parte nostra e da parte loro. Cosa succede ora a tutti i nostri colleghi europei? E i fondi di ricerca che abbiamo vinto? Che ne sarà della casa che ho appena comprato? Il mutuo aumenterà? Panico. Calmi tutti, non succederà nulla per un po', Cameron si dimette, tutto è in stand-by fino a ottobre almeno.
La rabbia del giorno dopo, quando sono iniziate a uscire le proiezioni dei voti, si è riversata tutta verso le campagne e gli anziani. Non dovrebbero votare, se non hanno idea di cosa stanno facendo. Fate un reality check e assicuratevi che almeno sappiano di cosa il referendum parla, prima di dare loro accesso alle urne. I miei interventi sui social erano tutti su questa linea, specie dopo che sono usciti dati secondo cui la ricerca maggiore dopo il voto sia stata "cosa e' EU?" e "cosa comporta uscire da EU?".
Poi i fatti hanno iniziato a delinearsi. Il referendum è stato indotto per un catfight all'interno dei Tories, la campagna pro-leave è stata guidata da chi ne avrebbe ricevuto vantaggi politici e basata principalmente su dati gonfiati e bugie. "Diamo i 350 milioni di pound la settimana all'NHS, non all'EU", è forse l'esempio più calzante di populismo e demagogia, quasi al pari del milione di posti di lavoro del Berlusconi 2004. Eppure ha fatto presa, eppure i leave hanno vinto. Ed ora è inutile arrabbiarsi con chi ha votato leave, perché, mi duole ammettere, la democrazia è democrazia, ma si può essere sconcertati da quanto i politici inglesi siano caduti in basso, per aver guidato una campagna elettorale che fomenta odio verso il diverso e divisione, che sul lungo termine nuocerà al proprio paese, senza un vero e proprio piano di azione in caso di vittoria, ma solo per il proprio personale tornaconto.
Nei giorni successivi, ho letto decine di articoli, commenti, battute. Ho guardato video di protesta contro il risultato, di protesta contro la protesta. Ho riso - amaramente - a battute su twitter e facebook e reddit, specie riguardanti la concomitante uscita dell'Inghilterra dal campionato europeo di calcio. Ho guardato gli interventi dei leader mondiali al parlamento europeo: l'intervento di Farage (UKIP) è francamente imbarazzante. Let's act as grown ups and secure a trade deal which is advantageous for eveybody. Essere parte del libero mercato, non pagare tasse, e chiudere le frontiere. La versione ultimate della botte piena e moglie ubriaca.
Stamani mi sono svegliata alle 6 e mi sono ritrovata a leggere di nuovo roba sul brexit. Ho bisogno di una pausa da tutto questo. Non so cosa succederà, per davvero. Non so se alla fine il governo inglese farà un passo indietro e non invocherà il trattato di Lisbona e tutto finirà a tarallucci e vino. Forse andrà così e i mercati reagiranno bene, e i mutui non aumenteranno e i miei amici potranno ancora usare i fondi europei per creare innovazione. E fra 10 anni, un'altra italiana potrà scendere dal bus, a Brixton e iniziare una carriera che non si sarebbe mai potuta sognare altrimenti.
Ma resterà l'amaro in bocca per quella metà del paese che si è scoperto razzista e chiuso di mente, nazionalista, bigotto e credulone, che ha invocato i vecchi splendori di un tempo che fu, mostrandosi cieco al realtà dei fatti e cioè che l'Inghilterra è di chi ci vive e contribuisce al benessere della nazione, anche se non è "british enough" perché vive lì solo da 40 anni - o da 2 per quello che conta.

Monday 9 May 2016

Mother day the day after

Ieri era la festa della mamma.

Il mio rapporto con questa festa e' stato sempre altalenante. Mai particolarmente sentito quando ero una figlia - forse per effettiva mancanza della titolare. Brutalmente negatomi quando ero una delle tante mamme silenziose camminanti sulla terra, con un secondo bambino in pancia e un buco nero nel cuore. Poco apprezzata in generale, come una delle tante feste commerciali che ci sono al mondo.
Ieri mattina, l'inondazione sui social network di auguri e cuoricini, mi ha dato sui nervi. Addirittura Facebook mi ha fatto gli auguri. Sono stata molto tentata di scrivere un post polemico, sulla scia di una puntata di "Last Week Tonight", su quanto sarebbe piu' proficuo, invece di celebrare le madri per Mother Day con ondate di cuori, cartoline, auguri, cioccolatini - le madri sono di solito a dieta - e varie e eventuali, dare alle madri la maternita'. Parlo degli USA ovviamente, dove la maternita' e' considerata indisposizione e come tale gestita.
Un po' di polemica mi sia concessa: lo stato del Texas garantisce alla madre 12 settimane di ferie non pagate per accudire il pargolo. Molte donne rientrano allo scadere della sesta settimana, utilizzando ferie, giorni di malattia e tutto quello che possono. Quelle che prendono due mesi sentono il dovere di giustificarsi. Follia allo stato puro. Questa politica mi fermera' nell'avere un altro bambino (ho il sospetto sia una costruzione sbagliata, ma non mi viene sul momento meglio di cosi', perche' lo dico sempre in inglese, per polemizzare con chicchessia a lavoro 'it will stop me for having another child'). Fine polemica.
Insomma volevo scrivere un post polemico su questo tono, ma molto piu' lungo e pedante, poi pero' s'e' fatto tardi e siamo andati al compleanno di una cara amica che prevedeva tuffo in piscina e grande magnata.
Ed e' stato allora che, mentre tutti i bambini sguazzavano e si divertivano, io tenevo stretto Fabio che con il gesso non poteva fare il bagno. E allora Fabio mi ha chiesto di togliergli le scarpe. "Vorra' saltare nella pozzanghera" ho pensato io, sciocca, e gliele ho tolte. Ed e' stato allora che, mentre appoggiavo le scarpe per terra, mi sono un microsecondo distratta a mettere dentro le scarpe i calzini e, quando ho alzato la testa, lui, la merda, si era belle tuffato in piscina, con vestiti gesso e tutto, senza ovviamente i braccioli, con il ghigno di chi te l'ha fatta, cogliona, che pensi che io sia peppa pig e invece sono un teppista. La maiala di tu madre proprio (mummy pig) - che poi sarei io.
E insomma per la festa della mamma, e tutti gli altri giorni, invece di fare polemica, io dovrei guardare un po' meglio i miei figlioli, mannaggia a loro, che poi scappano e chi li riacchiappa.
E allora ho asciugato il gesso con il phon, brontolato il furfante a dovere, ma se ci ripenso, alla scena, ancora mi scappa da ridere. E poi ho fatto i muffins che venerdi' mi ero persa la festa della mamma (mom&muffins) a scuola e l'ho recuperata stamattina. E ho esposto i regalini in ufficio. E ho appena bevuto il te della foto.
Perche' la festa della mamma e' una commercialata come tante e non mi stara' mai particolarmente simpatica, ma e' anche un'occasione per rimettere a fuoco che li adori, quelli, molto di piu' di quanto ti fanno incazzare. E allora gliel'ho comprato in pausa pranzo quel gioco che mi chiedevano da una vita, perche' quel tea era davvero buono, quella faccia davvero dispiaciuta per quel gesso era davvero bagnato, e quei due davvero speciali.

Monday 25 April 2016

Due

Happy Birthday my lovely boy

Calzoni corti, un monte di chiacchiere, occhiali da sole e un pallone.
Sei tutto lì, nel pieno dei tuoi splendidi due anni.
Se poi ti danno anche un dinosauro e un cavallo di plastica, allora si, che la quadratura del cerchio è ultimata.
Ieri compivi due anni ed era anche la tua festa di compleanno. La prima con tutti i tuoi amici, perché la festa fosse tua e non un'occasione per noi grandi per stare insieme.
E, nonostante la pioggia a catinelle, nonostante la riorganizzazione estemporanea in casa, nonostante si fosse in tanti in uno spazio non grande abbastanza, te ti sei divertito come un matto. Hai saltato nelle pozzanghere e la scherzato con la pioggia, hai fatto le bolle, hai giocato con la palla e il tuo canestro nuovo, hai mangiato pizza e bevuto succhini e hai riso tanto in barba al tempo bislacco.
E ancora dormi il sonno dei giusti, accanto alla tua sorellona che non si è data da fare di meno.
Fabio, che ti devo dire, non mi vengono parole che non siano melense, perché, come ti ho già detto l'anno scorso, sei il mio bambino piccolo e il mio amore grande, anche se si iniziano a intravedere tutti i segni di infinita merdaiolaggine, bricconeria, testa di acciaio inox e paraculaggine. Ma mi sai prendere per il verso giusto, quindi avrai vita in discesa.
Buon inizio di terzo anno di vita. Vai avanti ridendo e la vita ti continuerà a ridere indietro.

Tuesday 19 April 2016

Weather alert!


Perche' se era una domenica qualunque sarei stata tutto il giorno di malumore e avrei litigato con John, trattato male i bambini e fatta il sangue amaro fino all'ora della nanna.
Perche' per me, il vero lato negativo di lavorare a tempo pieno e' che sento che il tempo mio, quello del mio svago e divertimento, quello che passo con la mia famiglia e/o a fare cose che mi piacciono, mi scivola di mano.
Il tempo in generale mi scivola di mano e la paura piu' grande e' di svegliarsi un giorno che la vita e' passata e io non ho fatto una minchia di tutta la mia check-list di cose da fare prima di morire.
Lavorare mi piace. Ma viaggiare, per esempio, mi piace di piu'. E anche andare in bici con il vento fresco in faccia, fermarmi a bere qualcosa di fresco all'ombra e ripartire.
E quindi se ieri era domenica o sabato sarei divertata matta e insopportabile e avrei fatto incazzare tutti quanti.
Invece ieri era lunedi', un giorno classificato nella mia testa bacata come lavorativo. Ma a lavorare non e' andato nessuno perche' Houston era mezza allagata. Abbiamo ricevuto mail prima delle 7am che le scuole erano chiuse, poi che la Rice Uni era chiusa e infine che i lab di MDACC erano chiusi per emergenza a livello 3 (massimo e' 4). In realta', il bayou era straripato e quindi era praticamente non possibile, per non parlare di sicuro, attraversarlo.
E quindi ieri siamo rimasti bloccati in casa con fuori un temporale di quelli tuoni, fulmini e saette con niente di meglio da fare che... non fare un cazzo.
Allora ieri io ho fatto i biscotti con la Bianca, ho passato l'aspirapolvere - anche la nostra signora delle pulizie era rimasta bloccata a casa -, ho fatto un paio di lavatrici d'uopo, ho guardato dalla finestra i bambini giocare in costume nelle pozzanghere, ho fatto due passi, una volta smesso di piovere, fino al bayou per vedere in che stato era (alto parecchio) ed ho osservato Fabio lanciarsi di testa in una pozza grossa come una piscina (che schifo). Poi verso le 4.30, tutti docciati, abbiamo fatto la pizza e guardato tutti insieme un cartone alla TV grande. Alle 9, quando ho messo a letto i bambini, ben felici di ave bigiato scuola e aver avuto modo di cazzeggiare con noi tutto il giorno senza scopo, mi sono sentita bene. Senza aver fatto assolutamente nulla. Perche' ho vissuto ieri come un giorno guadagnato gratis, non vacanze, non finesettimana, niente di tutto questo. Ieri non dovevo non sprecare prezioso tempo libero. Ieri era in piu'. Era un regalo. Era un giorno di pioggia in cui si deve per forza stare in casa senza fare nulla e alla sera, ci si ritrova, con stupore, a essere stati proprio bene.

Thursday 31 March 2016

Houston. Per me. Oggi.


La mia amica Vale se ne va. Ancora non sa dove, ma se ne torna dall'altra parte del pond, forse nella sua amata Varvavia, forse altrove, ma la cosa importante e' che lascera' l'odiata Houston. Oggi ha scritto un bel post in cui rianalizza la sua permaneza qua e ammette di essere riuscita a trovare ben 10 lati positivi, ognuno dei quali appoggio in maniera incondizionata.
Tempo fa mi ha intervistata per Amiche di Fuso e abbiamo insieme messo a fuoco come ogni luogo di espatrio (come la gente nell'Oil&Gas adora chiamare questi periodi all'estero) non sia bello o brutto per se, ma dipenda molto dal momento della vita in cui ci si capita.
Questo mi ha fatto pensare che io, infondo, non ho mai scritto granche' della mia esperienza da expat, forse perche' "expat" non sono, ma sono emigrata.
Sei espatriata se pensi di rimpatriare. Altrimenti sei semplicemente andata via. A me nessuna compagnia mi sposta da un punto all'altro del globo pagandomi traslochi, affitti e scuole esclusive internazionali dei figli. Noi ci spostiamo per lavoro e il resto e' tutto un grande punto interrogativo.
Ma torniamo alle mie esperienze fuori Italia.
Tralasciando le prime due (Parigi e Dresda), una meta di Erasmus e quindi non qualificabile e la seconda troppo breve, arriviamo a Londra.
Londra e' una bellissima citta', non e' certo una novita' questa, ma per i primi anni io volevo solo stare a casa mia (Firenze) e quindi l'ho vissuta con amore/odio, vista come un posto transitorio, fino a quando non ho abbandonato l'idea di tornare a casa. In quel momento, ho iniziato a guardarla con occhi diversi, analizzandone in maniera oggettiva i pro e i contro (sia lavorativi che personali) che, sempre e comunque corroborati da una discreta dose di istinto, mi hanno portato a dire, dopo 7 anni: leviamoci dai coglioni. Questo posto non fa per me. Io voglio il sole, voglio andare a lavoro in bici in 10 minuti e voglio parlare con della gente che dica pane al pane e vino al vino.
L'America, da brava militante degli studenti di sinistra, mi e' sempre stata sulle palle. Houston, in particolare, mi faceva paura e mi incuriosiva allo stesso tempo. Pensavo di atterrare in una terra di cowboy e conservatorismo, sessismo, razzismo, classismo e tutte quelle cose li che si sentono dire del Texas quando in Texas non ci si e' mai messo piede. E sono vere, per carita', fuori dalle grandi citta', e anche dentro in certi ambienti, ma che io dopo due anni, ancora non ho toccato con mano. Cosi' come so che la gente gira con la pistola in macchina, probabilmente, ma io non ne ho vista nemmeno una.
Quando, il giorno dopo essere atterrata, ancora stordita dal fuso, incinta e stanca, sono andata al campus della Rice a fare due passi, ecco, quella sensazione dimenticata di sole che scalda la pelle, quel tepore e quel profumo di primavera, tutta quella gente che correva in maglietta, che andava in bicicletta o sullo skate, quello e' stato il mio imprinting americano.
E' stata la mia epifania, in cui ha messo a fuoco che ero proprio stanca e avevo bisogno di vivere al caldo, in un posto facile e senza dover correre come una trottola. Tutto il resto era secondario. E se non potevo andare a piedi in centro, potevo andare in bici dappertutto, con il sole.
E' stato anche il momento in cui ho capito che tutti i preconcetti che avevo, bigotteria, sessissimo, classismo, orrore all'idea della scuola e sanita' privata, cibo corrotto, consumismo sfrenato, tutte quelle idee li, che mi portavo dietro con il mio senso si superiorita' da figlia del vecchio mondo, ecco ero il caso che iniziassi a analizzarli in maniera critica.
La prima grande lezione mi e' arrivata al momento del parto, quando mi hanno detto che l'ospedale metodista dove Fabio e' nato non prendeva in considerazione niente di diverso da cosleeping e allattamento al seno - a meno che la madre non ne facesse esplicita richiesta. O non era la patria retrograda del conservatorismo?
La seconda e' stata quando ho segnato Fabio all'asilo e nessuno ha fatto una piega quando ho menzionato i pannolini lavabili e il BLW - o non era la patria del consumismo e basta?
La terza quando ho scoperto che la stragrande maggioranza dei colleghi e amici americani mandava o avrebbe mandato i figli alla scuola pubblica - o non era la patria dell'istruzione privata come alternativa all'analfabetismo?
Poi son venuti grandi dibattiti in laboratorio su sanita' e politica, che mi hanno sicuramento aiutato a vedere le cose sotto una luce diversa, molto diversa.
E anche se mantengo immutate alcune opinioni di stampo europeo che mi hanno fatto guadagnare il titolo di 'comunist' (IRONICAMENTE, ironicamente. Ironicamente e con affetto, non iniziate a impazzire con commenti da guerra fredda), guardo questa terra e le sue infinite contraddizioni con occhio piu' consapevole e attento.
E arriviamo a oggi, qui, in questa "caverna" che e' il mio laboratorio (non perche' tutti i laboratori del paese siano sottoterra, ma perche' nel mio ci si lavora con le radiazioni e quindi assomiglia a un bunker), unico momento in cui scrivo sul blog con un po' di calma mentre faccio anche altro (di solito HPLC).
Oggi, passato il secondo anniversario da quella passeggiata alla Rice, posso tranquillamente ammettere che mi viene l'orticaria quando sento dire "questi americani fanno questo" o "qui in America si fa cosi'" o "mai in America vedrai questa cosa" perche' significa che davvero con "questi americani" del 2016 a stento ci si e' parlato. Perche' se ci si fosse parlato, discusso o anche litigato, ci si renderebbe conto che "America" non significa nulla.



Wednesday 23 March 2016

Rientri fantozziani quarta (e ultima) parte



Questa e' l'ultima che avevo selezionato per voi, fresca fresca di quest'anno.

Febbraio 2016

Quest'anno la rimpatriata e' stata breve ma intensa: solo due settimane, di cui una per lavoro. Il motivo trainante di quest'anno era che mi e' nato un nipotino nuovo che era d'uopo andare a conoscere. Il nipotino era pero' a Genova e noi, come e' noto, eravamo in Toscana, a maggior ragione questa volta, perche' io ho tenuto le mie lezioni al Polo Scientifico di Sesto Fiorentino.
Il giorno indicato per andare dalla mia sorella a Genova, prepariamo i bagagli e ci armiamo a partire.
John aveva un appuntamento al dipartimento di matematica ed io, rimasta a badare i bambini, mi accingo a preparare tutto con l'intento di recuperarlo in Viale Morgagni e partire alla volta di Genova.
I bagagli sono assai per una misera Fiat 500 che ci deve portare in Liguria in quattro, ma io sono fiduciosa nelle mie capacita' di ottimizzazione.
Verso l'ora prestabilita, anzi con un po' di anticipo perche' non si sa mai, intenzionata a sfruttare il momento favorevole in cui Fabio dorme riverso sul letto e la Bianca si guarda i suoi cartoni sull'ipad, prendo tutti i bagagli, chiavi e casa e macchina e scendo giu' a caricare la macchina, lasciando i bambini in casa un attimo da soli (cosa che non si dovrebbe mai fare, lo so lo so lo so, non attaccate a rompere i coglioni senno' non vi racconto piu' nulla). Dico alla Bianca di chiamarmi dalla finestra se ha bisogno o se Fabio si sveglia, perche' sono giu' e mi puo' vedere e sto via solo un minuto.
Scendo a corsa, apro la macchina, appoggio chiavi di casa sul sedile posteriore, apro la bauliera, metto le valigie, mi scivolano le chiavi della macchina di mano nella bauliera, ignoro questo fatto, chiudo a forza la bauliera e la macchina... si autoblocca.
In un microsencondo.
Con le mie chiavi dentro, di casa e della macchina, i bambini chiusi in casa, le valigie dentro ed io che sono sola, che devo partire per Genova previo recupero del marito.
Inutile sottolineare cosa' e' venuto giu' perche' a questo punto lo sapete.
Dopo 10 sec di totale back-out da panico, inizio a vagliare mentalmente le possibili soluzioni.
"First thing first" come mi dico sempre quando sono in procinto di mandare all'aria un esperimento che coinvolge 20 topi e 2 mesi di lavoro altrui.
Per prima cosa devo recuperare i bambini. Questo e' facile, c'e' chi ha una copia delle chiavi di casa proprio li accanto. Corro a prendere copia chiavi e corro in casa a controllare che loro siano OK. Fabio sempre dorme, la Bianca, concentrata sui suoi cartoni, e' ignara del mio dramma interiore. Ottimo. Le dico che esco un secondo.
Ora devo recuperare la macchina. Mi sovviene che sotto casa c'e' un'autofficina con la quale avevamo avuto un primo incontro, non proprio fruttuoso, l'anno prima per la C3 (vedi post precedente) - anno precente: sieee, son le 5 domani e' la vigilia di Natale, io ora chiudo, per la vostra C3 non so che fare -
In linea con quanto mi aspettavo, il signore dell'officina mi dice: "sieee io mica posso aiurtarti (fava - questo si sente dal tono della voce-), qui ci ti vuole il carro attrezzi" "Il carro attrezzi? e per cosa?" "Per aprire la portiera" "Ah, aprono le portiere cosi'?" "Si, lo fanno tutti i giorni... sa... se era una Golf era un casino, ma una cinquecento in 5 minuti fanno". Ottimo... c'e' da stare sereni e sicuri. Siamo in una botte de fero.
Chiamiamo alcuni carro attrezzisti amici suoi, tutti occupatissimi a rimuovere macchine in divieto di sosta. Finalmente uno risponde e dice che arriva tra un po'.
"Gli puoi dire che e' urgente?" "Sieee ora viene subito perche' tu lo chiami te".
Gia', scusa, per quale motivo un soccorso stradale dovrebbe venire se uno ha un problema... coi suoi tempi, coi suoi tempi...
Recupero i figlioli, che intanto erano alla finestra a seguire la scena e penso che, al momento, non c'e' null'altro da fare che scendere tutti a comprare un gelato nell'attesa dei soccorsi.
Proprio mentre avevo la bocca piena di bacio e buontalenti, oramai nemmeno di cattivo umore, perche' tanto lo so come gira il mio universo, arriva l'omino del carro attrezzi che in 5 minuti scassina la macchina della mia sorella e salva la giornata.
"Allora sono 50 euri".
Al mio sguardo da 'sticazzi' mi dice "Oh, sai, vengo da Rifredi".
Ah, allora hai fatto un viaggione (noi eravamo a Legnaia, tempo di percorrenza senza traffico 19 min, come da Google Maps), te le meriti tutte! Stai du' minuti coi bambini che li vado a prendere.
Ho pagato il babysitter improvvisato per il suo duro lavoro, recuperato a forza i figlioli che finivano il gelato sul carro attrezzi fra risate e sollazzi e, messi loro in macchina, con i finistrini aperti, le portiere aperte, le chiavi della macchina al collo, quelle di casa in bocca, ho finito di prepare tutto,  recuperato il marito e siamo partiti alla volta di Genova con solo un'oretta di ritardo.

Dovrei iniziare a mettere i mie skills di problem-solving sotto pressione sul mio CV.

Monday 21 March 2016

Rientri fantozziani parte terza

dinamica e elegante in tutta la sua imparcheggiabilità

Dicembre 2014
Per questa terza fantozzata mi serve un minimo di contestualizzazione.
John a Pisa aveva una C3 tutta scassettatta. Quella C3 e' stata a Firenze fuori casa mia per un po', fino a quando, nel Natale 2010, decidemmo di portarcela a Londra. Lassù ha fatto un gran servizio fino alla fine e cioè a quando, nel 2013, consci dell'imminente partenza per il Texas, abbiamo deciso di riportarla a Firenze. Quell'anno io e la Bianca (e Fabio in pancia), in attesa del visto per gli USA, passammo in Italia quasi due mesi. L'intento era di usarla per quel tempo lì e poi venderla, ma il piano fallì miseramente e, quando presi il volo per non tornare per un bel pezzo, provata dalla vita da mamma single incinta, pensai che la macchina fosse il minore dei miei mali. Così la lasciai parcheggiata in un campo, dove mi avevano assicurato che non avrebbe dato noia a nessuno. Per inciso (questa è una fantozzata bonus), in quel preciso viaggio verso l'aeroporto in cui avremmo poi abbandonato la macchina nelle mani di un'amica, la Bianca vomitò anche l'anima, lasciando così la povera C3 non proprio in ottimo stato.
L'inverno scorso, come molti ricorderanno, partii alla volta dell'amata terra natia in solitaria, con due bambini e 6 valigie. Il piano era ambizioso, ma studiato nei minimi dettagli: avrei fatto Houston-Londra-Oxford-Genova-Firenze, dove avrei recuperato la macchina, aspettato John e avremmo guidato alla volta di Palermo, dove avremmo passato il Natale, per poi ripassare da Londra e tornare a Houston a meta' gennaio.
Solo che quando arrivai a Firenze, mi sentii un po' stanca e valutai che non fosse facile recuperare la macchina vomitosa nel campo, che di sicuro avrebbe avuto la batteria scarica, con oltretutto due bambini piccini di cui uno che nemmeno stava in piedi. Sinceratami che la macchina fosse sempre li tutta intera, seppur puzzosa, mi misi l'anima in pace e aspettai che arrivasse John il 22 di dicembre.
Anzi, ora che mi sovviene, mi ero anche messa d'accordo con un amico per eseguire il recupero, ma il giorno prefissato io e i bambini eravamo stati colti da un virus cacaiola/vomito mortale e il mio amico col cazzo che ci si avvicinò (chi lo biasima).
Il giorno che John arrivava, nell'andare a prenderlo all'aeroporto, passai a controllare che la macchina non avesse davvero la batteria scarica, così da farla recuperare da John quella sera stessa e farla rimettere un minimo in sesto per il viaggio fino a Palermo.
Passo di lì e la macchina, surprise surprise, non c'è (il presente indicativo è usato per sottolineare quanto ancora, quando ci penso, mi si tappa la vena).
O come, c'era fino a qualche giorno fa.
Che ho sbagliato posto?
Sono rincoglionita?
Gira e rigira per tutti i campi e no... la macchina non c'è. No dai è perché è buio non la vedo, ma mi pareva fosse proprio lì.
Eccerto. Ora mi torna. Fino a ora era andato tutto liscio e vuoi che di grazia non ci sia un mega intoppo il giorno prima di una qualunque partenza?
Inizio l'usuale rosario di bestemmie, sempre meno sentito e colorato, ma, di anno dopo anno, sempre più sommesso e rassegnato. È necessario che io mi avveleni ogni rientro per bilanciare non so quale equilibrio cosmico.
In tutto questo mi stavo scordando che quello era in procinto di atterrare. Lo recupero e lo metto al corrente della buona novella: guarda tesoro, la macchina non c'è. L'altro giorno c'era e ora non c'è. Forse ce l'hanno rubata. Ma chi se la deve essere presa dopo tutto questo tempo. Forse ce l'ha portata via il carro attrezzi. Ma dal campo? a chi rompeva le palle dopo tutto questo tempo? Non era mica in divieto di sosta. Come si fa a andare a Palermo? Oh, mal che vada un si va. No dai si deve andare, come si fa? Si prende l'aereo. No, io non voglio volare, prendiamo una macchina a noleggio. Si ora... si guidava per portare la macchina giù e abbandonarla a tu' pa', ma senno' che senso ha. E via e via tutta la notte - ho volutamente omesso i vari inni a variegati dei animali -.
Il giorno seguente, abbandonati i bambini con la signora delle pulizie improvvisata babysitter, ci mettiamo alla ricerca della macchina perduta e, dai picchia e mena, viene fuori che sì, ce l'avevano portata via, perché era parcheggiata su strada (strada? era in un campo) con il tagliando dell'assicurazione esposto, che mostrava che l'assicurazione era scaduta. Una volta dimostrato che era solo il tagliando scaduto, ma l'assicurazione c'era, ce l'hanno resa, la stracazzo di macchina puzzosa, non senza farci pagare un bel po' di soldi di rimozione forzata e cazzi e mazzi. Ma tanto oramai io sono zen e prendo le multe come una donazione allo stato italiano. È il mio modo di contribuire, come dare in beneficenza a Emergency o a Cancer Research UK. Ah no, già, pago anche le tasse su un affitto che non riscuoto, ma questa è un'altra storia, buona per un altro giorno.

p.s.
dopo un controllo base, la macchina puzzosa è risultata perfettamente funzionante e, fida, ci ha portato tutti a Palermo, seppure un po' pigiati, in quattro, con 8 valigie. Adesso è in Sicilia, a quanto pare tirata a lucido dal mi' suocero, e, se quelle quattro portiere potessero parlare, dall'alto del loro ritrovato splendore, ne avrebbero da raccontare delle belle.

Friday 18 March 2016

Rientri fantozziani parte seconda

Firenze Santo Spirito

Questa vi piacera' molto.

Settembre 2013
Una mattina vado a lavorare e non mi sento molto bene. Nel mentre ricevo una chiamata di mia sorella che la nostra zia vecchierella non si e' sentita molto bene nemmen lei e e' sotto osservazione all'ospedale.
Presa dal panico, e volenterosa di aiutare, decido di andare a Pistoia per il finesettimana lungo, in modo da dare un po' di cambio alla mia sorella in ospedale, che poveraccia ha il figlio di pochi mesi.
La sera mentre aspetto che John torni da Oxford, faccio test di gravidanza che risulta essere positivo (era Fabio).
E cosi', incinta e triste, mi incammino verso Pistoia.
Dopo aver passato un paio di giorni con zia e sorella all'ospedale, sinceratami che non ci fosse nulla di piu' grave del solito, la domenica decido di andare a Firenze a trovare un'amica, tanto la sera della domenica sarei dovuta andare a Pisa a riprendere l'aereo che mi avrebbe riportato a Londra in nottata.
Ora si noti che a settembre a Firenze e' estate e a Londra inverno, quindi io, coscenziosa ed esperta, ho abbigliamento per due stagioni nel mio fido bagaglio a mano, che gia' che ci sono riempio con un po' di roba maternity che avevo prestato alla mia sorella.
La mia amica mi viene a prendere alla stazione con il suo figliolo nuovo. Abbiamo poche ore prima che io debba riprendere il Terravision per Pisa, ma meglio poco che nulla. Lei, grazie al figlio nuovo, ha il permesso di parcheggio ovunque e quindi si molla la macchina, con il mio trolley dentro, e si va a godersela in Santo Spirito, in maniche di camicia, a suon di cioccolata, teino spocchia e chiacchiere.
Quando si fa una certa, ci dirigiamo verso la macchina per riprendere il trolley e andare alla stazione e... surprise surprise... la macchina ce l'hanno portata via.
Perche' la mia amica aveva si il pass per parcheggiare dappertutto, ma evidentemente li' no!
La macchina portata via con dentro il mio trolley, contenente tutta la mia roba inglese, comprensiva di portafoglio, oyster card, maglia, giacchetto e chiavi di casa. Per fortuna con me avevo portafoglio italiano, passaporto e biglietto bus da Gatwick a Londra centro. Per fortuna, perche' senno' sarei stata spacciata. Vabbe' dai, poteva andare peggio, un mal che si rimedia, o no?
Dopo un attimo di panico, in cui abbiamo cercato di capire se valesse la pena di recuperare la macchina prima della mia partenza, abbiamo realizzato che no, non ce l'avremmo fatta e che anzi, se non muovevo il culo, avrei perso anche l'aereo.
Mi devo spicciare, ma se corro ce la faccio e poi potrebbe andare peggio, no?
Si, puo' sempre andare peggio: per esempio puo' venire giu' il temporale!
Corro via verso Santa Maria Novella e arrivo alla fermata del Terravision, completamente fradicia, in maglietta, leggins e scarpe aperte bagnate, e l'omino mi dice con nonchanche che, signora guardi a causa della pioggia i viali sono bloccati, il bus non entra in centro, non c'e' speranza che arrivi a Pisa in tempo.
Firenze quando piove si blocca, si sa, del resto, essendo Firenze nel deserto, alla pioggia poverini sono sono avvezzi, vanno capiti.
Sempre piu' fradicia, corro dentro la stazione e di grazia salto su un treno per Pisa in ritardo che sta chiudendo le porte. Senza biglietto, a questo punto mi pare il minore dei mali.
Il controllore non passa, la sorte e' con me (bisogna sempre giocare a Pollyanna).
A Pisa, sempre piu' infreddolita, salto su un taxi e urlo al tassista di correre all'aereporto, il quale mi scoppia a ridere in faccia e mi dice, testualmente: "Non mi vorrai mica dire che perdi l'aereo eh, cosi' conciata, tutta molle e con codesta borsetta..." "si, sticazzi perdo l'aereo si... andiamo per piacere che per oggi di corse anche basta, che sono anche incita..."
Arrivo all'aereoporto in disperazione. Ho freddo, ma piu' che altro ho il terrore di cosa ne sara' di me una volta a Londra, di notte, con meno di 10 gradi.
Al che realizzo che, no, non tutto e' perduto. Che i negozi all'aereoporto sono ancora aperti e ci sono anche i saldi.
E io ho il portafoglio italiano con il bancomat.
La sorte e' davvero con me.
Acchiappo una camicina fricchettona orrenda e una felpa della marina militare pisana (che ho ancora), mi cambio nel bagno e ricomincio a risorridere alla vita.
Anche 'sta volta me la sono sfangata.
A Londra, con le scarpe aperte che a quel punto si erano asciutte, mi stringo nella mia felpa nuova, cambio 10 euri in pounds, prendo il mio bus per il centro, il mio bus per casa e, a notte fonda, entro nel mio letto calduccio sperando che tutto questo tramestio non abbia nuociuto al bambinuccio appena concepito.
Mentre mi assopisco mi ripeto che, come al solito, io in Italia non ci devo andare, ma che vaffanculo, se tutto va bene, questo sara' un grande aneddotto.

p.s.
Il tramestio non ha nuociuto, anzi Fabio e' un toro. Evidentemente ha capito subito come gira l'universo di  su' ma'. Il trolley me lo ha riportato un caro amico venuto a Londra a festeggiare il suo compleanno qualche tempo dopo. La roba puzzava un po' ma poteva andare peggio. Il compleanno del mio amico e' stato uno dei giorni piu' divertenti di sempre. Questo aneddotto anche. Dopo 3 anni...

Tuesday 15 March 2016

Rientri fantozziani parte prima

...NOT!

E' un po' che mi ripropongo di scrivere questo post, ma poi mi trattengo sempre, perche' non voglio farmi prendere per quella che si piange addosso, che le sfighe succedono a tutti.
Sacrosanto.
Ma a me succedono ogni volta che vado in Italia. Come se il mio karma italiano fosse cosi' lurido che devo scontarle tutte con anche gli interessi.
Reduce da una sfiga Houstoniana, fresca fresca come l'ova di giornata (stanotte mi hanno tagliato la luce per un errore con il pagamento automatico dell'ultima bolletta, sono sola coi bambini, la macchina e' rimasta bloccata in garage e c'era pure vento contro cui pedalare - meno male non pioveva), mi e' presa ispirazione di levarmi un po' di sassi dalle scarpe, presentarmi in versione frignetta e raccontare qualche sfiga Made in Italy.
Ne ho selezionate quattro, ma, giuro sull'animaccia mia dannata, che ce ne sono varie altre e succose. Siccome non voglio essere succinta, ho deciso che raccontero' una sfiga a post. Evvaffanculo

Natale 2012
Come e' noto siamo sempre randagi quando si rimpatria per Natale, specie da quando, nel lontano agosto del 2011, decisi di affittare permanentemente il mio amato/odiato appartamentino. Allora fu un fatto necessario, dato che avevamo appena comprato casa a Londra ed eravamo rimasti con 60 GBP in tasca.
Per il Natale dell'anno dopo pero' l'inquilino se ne era andato e, dato che noi dovevamo arrivare per l'ultimo dell'anno, quale migliore occasione di trascorrere una settimana nel mio appartamento e, gia' che c'eravamo, inaugurare il rientro in possesso temporaneo con la festa di Capodanno Children Friendly? E siccome il mio appartamento e' dietro la stazione del treno e davanti alla fermata del bus, perche' mai avremmo dovuto prendere una macchina a noleggio?
Arriviamo cosi' trafelati il 31 pomeriggio, dopo volo dalla Sicilia, terravision da Pisa a Firenze e bus dalla stazione a casa, entriamo in casa e... ci hanno staccato la corrente. Eh si, perche' il mio inquilino, liberando l'appartamento, aveva disdetto il contratto e omesso di rimettere il contratto a nome mio. In meno di 24 ore l'Enel aveva ben pensato di lasciare al buio la casa, senza se e senza ma. Ma che magnifica efficienza. Fiduciosa che la stessa efficienza si sarebbe verificata al momento in cui avessi chiesto di riattaccare la corrente a nome mio, chiamo il servizio clienti. Mi risponde una signora che mi dice che per riattaccare la luce ci vogliono almeno 5 giorni lavorativi, che, sa come e' signora, siccome sono le vacanze di Natale anche 10, che costa piu' di 100 euro e che per stasera proprio non c'e' nulla da fare. Ne' per stasera, ne' per il resto della nostra permanenza italiana.
Quindi sono le 6pm dell'ultimo dell'anno e siamo a) stanchi, b) con una bambina di poco piu' di un anno infreddolita, c) con una festa di capodanno da riorganizzare, d) con un tetto da trovare ed e) a piedi.
Le madonne hanno iniziato a fioccare rosee giu' dal cielo con angeli, arcangeli e suoni di flauti sempre piu' fluttuose e abbondanti via via che chiamavamo alberghi tutti pieni e noleggi macchina tutti chiusi. In quel momento ho giurato e spergiurato che mai piu' e mai poi sarei tornata in Italia. Perche' nessuno si merita si rientrare in casa per le vacanze di Natale e avere questo tipo di accoglienza.
Se solo avessi mantenuto quella promessa le prossime tre sfighe non sarebbero potute essere narrate.

p.s.
La festa di capodanno, dopo varie negozziazioni, fu spostata a casa di un'amica e noi ci collocammo a casa di un altro amico, che ci presto anche la sua mitica pandina oramai defunta.
Forse e' perche' ho dei grandi amici che alla fine torno in Italia.
E perche' mi da' sempre dell'ottimo materiale su cui scrivere.

Friday 11 March 2016

Emigrante - Schema 2


Venire via dall'Italia (oramai non posso nemmeno piu' dire Toscana, perche' sto sviluppando un notevole attaccamento alla Liguria) non e' mai facile. Quest'anno sono stata solo due settimane e mi e' sembrato tanto tempo. Ammetto di essere in difficolta' a rientrare nei ranghi. Mi abbiocco alle 9 di sera, mi sveglio prestissimo e vorrei tanto mangiarmi un schiacciata genovese con un cappuccino di Giorgio. La casa e' un disastro di  valigie semiaperte, panni sporchi sparsi ovunque, panni puliti da mettere via, giocattoli in ogni dove.
Eppure mentre sto scrivendo questo post sulla mancanza/lontananza/sounasegaselasegasegaotaglia, mi sento ridicola. Ho superato la homesickness, questa nebbia nella testa e' qualcosa di diverso che non riesco a mettere a fuoco. 
Forse e' solo jet-leg.
Oramai non ho da discutere su cosa sia cosa, su cosa sembri casa e tutte quelle cose li da emigrante alle prime armi. Oramai so quale e' il mio posto, qua e la' e in ogni dove. So che gli amici restano, che i nipoti non si scordano degli zii, che i posti del cuore non cambiano poi tanto - nonostante la tranvia-. Pero' so anche, con ragionevole certezza, che l'Italia non e' posto per noi. Non torneremo, per molti anni ancora, forse mai piu' e, terribile ma vero, adesso sembra giusto cosi'.
E allora cosa mi disturba? Ho forse paura che gli amici mi vogliano vedere solo perche' si conviene? Che i posti del cuore siano solo immaginari? O peggio, che i posti del cuore non siano piu' li, come ti piacerebbe credere, ma altrove? Sul South Bank per esempio,  che la B non mi ha perdonato che non si sia passati da Londra. 
Forse sto passando alla fase due, quella dell'emigrante navigato, che si e' stufato da quel di' di cercare l'Italia nei supermencati del resto del mondo, che fa benissimo a meno del bidet, che riesce a concepire una colazione a base di bacon e che comincia a non avere problemi a pensare che i propri figli studieranno la Storia da un punto di vista diverso (anzi, su questo, non vede l'ora).
L'emigrante che si e' reso conto che il paese di origine e' una meta da vacanza e lo vede con gli occhi di uno straniero.
Resta quella bolla di torpore nella testa che non si sa cosa sia.
Forse faccio fatica a accettore quello che ho appena scritto.
Ma forse e' davvero solo il jet-leg.

Wednesday 10 February 2016

Odore di casa


C'e' solo una cosa migliore del tornare a casa una volta l'anno.
Le due settimane che precedono la data del rimpatrio.
Quando ricordi a chi gia' sapeva che la data si avvicina e lo dici a chi non lo sapeva.
Quando i like sul post di facebook iniziano a fioccare, insieme a commenti e icone di ok.
Quando iniziano a creasi gruppi su facebook, whattsapp, telegram e social remoti con nomi tipo "cena" o " reunion".
Quando iniziano domande del tipo "questo giorno ci sei per cena/aperitivo/caffe'/ pranzo/ passeggiata/chiacchiara?"
Quando il tuo calendario inizia a essere pieno di impegni a due settimane dalla data del volo.
Quando vai al supermercato per comprare peanut butter, sciroppo d'acero e patatine gusto cappuccino.
Quando a gran voce si richiedono le mutande di VS.
Quando una valigia e' piena di vestiti troppo piccoli per F&B e andranno a vestire amichetti italiani, che poi ci manderanno foto per tutto l'anno successivo con proprio quel vestitino con la gallina che ti e' dispiaciuto tanto non fosse taglia 41 anni.
Quando loro iniziano a mettersi d'accordo per scambiarsi seggioli per la macchina e giacchetti da inverno da portarmi all'aereoporto.
Quando dopo 10 anni, e ripeto 10 anni, sembra di tornare a casa dopo un weekend lungo, perche' il tuo posto, fra i tuoi amici, e' diverso, ma si sente sempre chiaro e forte.
Ci si vede il 20 gente.

Wednesday 27 January 2016

Linearita' o meno della cultura

Come chi segue "Parole in liberta'" sa gia', ho raccattato un collaboratore che mi "aiutera'" a scrivere le review di film e serie TV. L'intento e' ovviamente quello di divertirsi. Il modo dovrebbe essere quello di fargli scrivere su cosa io non guardo, o, per cio' che entrambi abbiamo visto, usare il dibattito e  l'integrazione di elementi che io conosco meno bene, come ad esempio i riferimenti ai fumetti specifici da cui le serie TV sono tratte. Ho letto molto fumetti in vita mia, ma sono un'infante a confronto di certa gente in cui scorre forte la forza nerd, gente a cui il mio collaboratore (e carissimo amico) Francesco fa parte.
Sono stata criticata in passato per questa cosa delle review, perche' mi e' stato detto che non stavo parlando a ragione veduta, che non sapevo nulla del materiale originale e quindi perche' avrei dovuto dire la mia sul materiale televisivo che ad esso si ispirava.
Questo mi ha portato a una riflessione piu' profonda, che medito da un po' di tempo e che si interseca con la mia idea di scuola, adesso che sono costretta a confrontare il metodo scolastico italiano come l'ho vissuto io, con quello americano che mi accingo a conoscere dall'agosto prossimo venturo.
Siamo stati portati a pensare che la cultura sia una cosa lineare: studio la lezione, passo l'interrogazione prima, l'esame poi. Ho un problema da risolvere, lo pondero, mi studio la letteratura in materia, creo un piano di attacco, risolvo il problema. Questo e' in parte la base del metodo scientifico, in effetti: scopro un fenomeno nuovo, lo osservo, lo interpresto, disegno esperimenti ad hoc per provare la mia ipotesi, gli esperimenti funzionano, quindi ho provato la mia ipotesi. Faccio scienza da 20 anni, fosse mai una volta andata cosi'. Scientificamente, la via all'innovazione e' molto piu' tortuosa, procede per piccole scoperte frammentarie, pezzi di un puzzle trovati a volte per caso o per fortuna, che inizialmente possono non avere senso (e spesso non ne hanno) ma a volte, guardati nel loro insieme, dopo tanto tempo e dall'alto, ricostruiscono qualcosa di vicino all'immagine finale ideale.
Questo stesso concetto si applica alla cultura. La cultura non deve per forza essere lineare, non c'e' bisogno di partire a studiare la preistoria per diventare uno storico, si puo' anche studiare il secondo dopoguerra e poi il medioevo e poi magari ci si interessa agli assiro-babilonesi e si legge qualcosa.
Allo stesso modo, non ho bisogno di leggere 900 numeri di Daredevil per avere il diritto o meno di scrivere se la serie TV mi e' piaciuta (la risposta e' si, review a 4 mani con Francesco a seguire, questo sabato) - E comunque i puristi possono anche non leggere -.
Anzi, e questo era il punto focale di questo post, posso prendere spunto dal fatto che la serie TV mi e' piaciuta tanto e leggere i fumetti che mi mancano per ampliare la mia conoscenza del personaggio.
L'idea della cultura lineare, del sapere tutto per poter dare l'esame, e' un male assoluto che mi porto dietro dalla prima elementare. E, badate bene, ha effetti collaterali devastanti, come non fare domanda per un lavoro perche' su 10 requisiti se ne hanno solo 9.
Sto invece imparando quanto sia importante e interessante imparare a riempire gli spazi vuoti, riconoscere i pezzi del puzzle quel quello che sono: pezzi e, invece di frustrarmi perche' non vedo il puzzle, imparare a metterli di lato finche' l'immagine finale non sara' piu' chiara.
Da dove venga lo spunto a riempire quegli spazi o cercare quei pezzi, ha davvero importanza?

p.s. perdonate lo spazio pubblicitario iniziale. Vogliamo, fortemente vogliamo, Francesco e io, traffico di nerd che commentano e si scannano su cose basilari come chi sia piu' forte fra Thor e Iron Man.

Tuesday 26 January 2016

Quando le notizie te le dicono i social.


Non so se sono solo io, ma almeno io non riesco a stare dietro alle cose che succedono nel mondo. Non sono aggiornata sui fatti quotidiani, non so nulla o quasi di politica, cronaca, economica e neppure di gossip. Mi aggiorno regolarmente solo sul tempo metereologico, che sennò qui non si sa mai come vestirsi. La cosa che mi intristisce ancor di più è che tutte le novità sul mondo me le regalano Facebook e Twitter, parziale complice il fatto che non possiedo la TV.
E così dalla mia amica Facebook ho appreso di cose tipo gli attentati di Parigi, la morte di David Bowie, le ultime di Tramp e il Family day. Su molte di queste cose avrei anche un'opinione forte, ma molto spesso me la tengo, perché una che apprende notizie del genere da Facebook, perde il diritto di parola e forse anche di libero pensiero.
Prendiamo ad esempio la storia del Family Day. Ora, io vivo in un paese dove c'è un day per ogni minchiata: il giorno della terra, quello dei nonni, addirittura il Go Texan Day, dove si mandano i figlioli a scuola vestiti da cowboys, per cui il family day potrebbe anche essere uno dei tanti. Basterebbe limitarsi a chiedere ai bambini dell'asilo di fare un disegno che rappresenta la loro famiglia e appendere i capolavori fatti di figurine-stecchino e scritte storte al muro della classe. Poi cosa sono (o quanti sono) gli stecchini poco importa. Vorrei scrivere fiumi di parole indignate su Maroni, Salvini, la chiesa, la mancanza di diritti, ecc ecc, ma come si fa a dire qualcosa che non sia già stato detto, quando si apprendono le notizie da Facebook? È bene che mi limiti, come nei casi precedenti, a metter like a post altrui, scritti bene, che di sicuro centrano la questione e arricchiscono il prossimo.
Il punto è: come si fa a stare al passo con quello che succede tutti i giorni, leggere tutti i nuovi paper, essere al corrente dei nuovi trend scientifici, avere opinioni informate di parenting, preparare cene variegate e equilibrate e magari anche dedicare un'ora al giorno alla cura del corpo? Io getto la spugna, non ce la faccio. Temo che continuerò a vivere così un po' a caso,  a metà fra il menefreghismo e la vergogna, senza avere un'idea non qualunquista di politica e economia, non informata quanto dovrei di nuovi trend scientifici, a parte quelli che apprendo per osmosi ai meeting, abbastanza consapevole di quello che si dice al giorno d'oggi di pedagogia dell'età evolutiva che però nutre la prole in evoluzione, per la maggior parte, a pasta al burro. In questo panorama desolato, evviva Facebook e Twitter che aiutano a farmi sembrare e sentire un po' meno ignorante.

Thursday 14 January 2016

Equilibrio metastabile

Questo trasloco ha avuto un contraccolpo inaspettato di malumore, stress, incomprensioni, tendenze omicide e aggressivita' inconsueta. In casa mia, da qualche giorno a questa parte si urla, scalcia, batte i piedi per terra, tira testate del muro, in scene apocalittiche di cui ci si dovrebbe tutti quanti, grandi e piccini, solo vergognare.
Visti da fuori si sembra matti.
Visti da dentro, un po' mi scappa da ridere. Fosse la prima volta che ci si sposta del tetto natio, potrei capire, ma all'ennesima si dovrebbe aver capito che basta avere un po' di pazienza che poi ognuno, come per magia, ritrova i propri spazi e sa dove sono le pentole, l'interruttore del bagno e il peanut butter. Invece al momento e' un delirio di gente che corre in qua e in la' senza sapere bene perche'.
Per combattere tutto questo casino e mantenere un minimo di sanita' mentale, ogni sera, quando i bambini sono lavati e impigiamati, vado a casa vecchia con la scusa di traslocare qualcosa. La verita' e' che vado li, mi prendo il cappuccino, lavucchio, metto due cose nelle scatole, butto via qualche cartaccia, e mi godo un'ora di silenzio. Completo silenzio.
Mi manchera' quell'appartamentino troppo stretto con troppo spazio sprecato nei bagni. Quell'appartamentino pensato non per una famiglia, ma per un single, che a casa non ci cucina, ma evidentemente necessita si una zona notte agiata. Dopo tutte le maledizioni che gli ho mandato, inciampando in una bambola, pestando un lego e facendomi spazio fra le scatole di cereali. potrei addirittura contemplare di tenerlo, sotto falso nome, fino al giorno in cui mettero' Fabio su un pick-up destinazione college.

Tuesday 12 January 2016

Stabilita' questa grande sconosciuta


Londra - Houston
E con questo fanno 7.
7 case, da quando ho lasciato il tetto familiare, in cui ho vissuto almeno un anno - con un record massimo di 4 e qualcosa e minimo di un po' meno di due.
11 case si se vogliono considerare anche le due a Firenze prima di casa Maggiorelli, la stanza nello studentato a Parigi e il monolocale a Dresda.
5 case con John
3 case con anche la Bianca
2 case con tutta la truppa.
Troppe case.
Emozionalmente oramai e' come cambiare albergo, fisicamente una immensa fatica a aprire e chiudere scatoloni, che pero' oramai faccio con la disinvoltura con cui cuocio la pasta.
Questa volta almeno abbiamo talmente poca roba che davvero e' stato quasi come cambiare motel durante un road trip.
Mi consolo che almeno pare si stia andando nella giusta direzione, sempre meno junk e case sempre piu' grandi. Io e John siamo partiti con uno studio flat di 16m2 nel ridente borghetto di White City (accanto a ospedale e prigione) e, ad oggi, siamo arrivati a una townhome di tre piani con abbondanza di stanze, bagni, garage e amenity americane varie (ma niente letto) nel cuore posh delle Houston medioborghese.
I bambini corrono impazziti da un muro all'altro come se fossero in palestra, si lanciano dalle scale e rotoLano ovunque, mentre io ho da litigare per avere il permesso di comprare un nuova libreria Billy per poter disporre i miei libri in maniera visibile. Perche' lui, il minimalista, in salotto, ci vuole fare capoeria.
Il minimalista sull'uscio