Thursday 31 March 2016

Houston. Per me. Oggi.


La mia amica Vale se ne va. Ancora non sa dove, ma se ne torna dall'altra parte del pond, forse nella sua amata Varvavia, forse altrove, ma la cosa importante e' che lascera' l'odiata Houston. Oggi ha scritto un bel post in cui rianalizza la sua permaneza qua e ammette di essere riuscita a trovare ben 10 lati positivi, ognuno dei quali appoggio in maniera incondizionata.
Tempo fa mi ha intervistata per Amiche di Fuso e abbiamo insieme messo a fuoco come ogni luogo di espatrio (come la gente nell'Oil&Gas adora chiamare questi periodi all'estero) non sia bello o brutto per se, ma dipenda molto dal momento della vita in cui ci si capita.
Questo mi ha fatto pensare che io, infondo, non ho mai scritto granche' della mia esperienza da expat, forse perche' "expat" non sono, ma sono emigrata.
Sei espatriata se pensi di rimpatriare. Altrimenti sei semplicemente andata via. A me nessuna compagnia mi sposta da un punto all'altro del globo pagandomi traslochi, affitti e scuole esclusive internazionali dei figli. Noi ci spostiamo per lavoro e il resto e' tutto un grande punto interrogativo.
Ma torniamo alle mie esperienze fuori Italia.
Tralasciando le prime due (Parigi e Dresda), una meta di Erasmus e quindi non qualificabile e la seconda troppo breve, arriviamo a Londra.
Londra e' una bellissima citta', non e' certo una novita' questa, ma per i primi anni io volevo solo stare a casa mia (Firenze) e quindi l'ho vissuta con amore/odio, vista come un posto transitorio, fino a quando non ho abbandonato l'idea di tornare a casa. In quel momento, ho iniziato a guardarla con occhi diversi, analizzandone in maniera oggettiva i pro e i contro (sia lavorativi che personali) che, sempre e comunque corroborati da una discreta dose di istinto, mi hanno portato a dire, dopo 7 anni: leviamoci dai coglioni. Questo posto non fa per me. Io voglio il sole, voglio andare a lavoro in bici in 10 minuti e voglio parlare con della gente che dica pane al pane e vino al vino.
L'America, da brava militante degli studenti di sinistra, mi e' sempre stata sulle palle. Houston, in particolare, mi faceva paura e mi incuriosiva allo stesso tempo. Pensavo di atterrare in una terra di cowboy e conservatorismo, sessismo, razzismo, classismo e tutte quelle cose li che si sentono dire del Texas quando in Texas non ci si e' mai messo piede. E sono vere, per carita', fuori dalle grandi citta', e anche dentro in certi ambienti, ma che io dopo due anni, ancora non ho toccato con mano. Cosi' come so che la gente gira con la pistola in macchina, probabilmente, ma io non ne ho vista nemmeno una.
Quando, il giorno dopo essere atterrata, ancora stordita dal fuso, incinta e stanca, sono andata al campus della Rice a fare due passi, ecco, quella sensazione dimenticata di sole che scalda la pelle, quel tepore e quel profumo di primavera, tutta quella gente che correva in maglietta, che andava in bicicletta o sullo skate, quello e' stato il mio imprinting americano.
E' stata la mia epifania, in cui ha messo a fuoco che ero proprio stanca e avevo bisogno di vivere al caldo, in un posto facile e senza dover correre come una trottola. Tutto il resto era secondario. E se non potevo andare a piedi in centro, potevo andare in bici dappertutto, con il sole.
E' stato anche il momento in cui ho capito che tutti i preconcetti che avevo, bigotteria, sessissimo, classismo, orrore all'idea della scuola e sanita' privata, cibo corrotto, consumismo sfrenato, tutte quelle idee li, che mi portavo dietro con il mio senso si superiorita' da figlia del vecchio mondo, ecco ero il caso che iniziassi a analizzarli in maniera critica.
La prima grande lezione mi e' arrivata al momento del parto, quando mi hanno detto che l'ospedale metodista dove Fabio e' nato non prendeva in considerazione niente di diverso da cosleeping e allattamento al seno - a meno che la madre non ne facesse esplicita richiesta. O non era la patria retrograda del conservatorismo?
La seconda e' stata quando ho segnato Fabio all'asilo e nessuno ha fatto una piega quando ho menzionato i pannolini lavabili e il BLW - o non era la patria del consumismo e basta?
La terza quando ho scoperto che la stragrande maggioranza dei colleghi e amici americani mandava o avrebbe mandato i figli alla scuola pubblica - o non era la patria dell'istruzione privata come alternativa all'analfabetismo?
Poi son venuti grandi dibattiti in laboratorio su sanita' e politica, che mi hanno sicuramento aiutato a vedere le cose sotto una luce diversa, molto diversa.
E anche se mantengo immutate alcune opinioni di stampo europeo che mi hanno fatto guadagnare il titolo di 'comunist' (IRONICAMENTE, ironicamente. Ironicamente e con affetto, non iniziate a impazzire con commenti da guerra fredda), guardo questa terra e le sue infinite contraddizioni con occhio piu' consapevole e attento.
E arriviamo a oggi, qui, in questa "caverna" che e' il mio laboratorio (non perche' tutti i laboratori del paese siano sottoterra, ma perche' nel mio ci si lavora con le radiazioni e quindi assomiglia a un bunker), unico momento in cui scrivo sul blog con un po' di calma mentre faccio anche altro (di solito HPLC).
Oggi, passato il secondo anniversario da quella passeggiata alla Rice, posso tranquillamente ammettere che mi viene l'orticaria quando sento dire "questi americani fanno questo" o "qui in America si fa cosi'" o "mai in America vedrai questa cosa" perche' significa che davvero con "questi americani" del 2016 a stento ci si e' parlato. Perche' se ci si fosse parlato, discusso o anche litigato, ci si renderebbe conto che "America" non significa nulla.



Wednesday 23 March 2016

Rientri fantozziani quarta (e ultima) parte



Questa e' l'ultima che avevo selezionato per voi, fresca fresca di quest'anno.

Febbraio 2016

Quest'anno la rimpatriata e' stata breve ma intensa: solo due settimane, di cui una per lavoro. Il motivo trainante di quest'anno era che mi e' nato un nipotino nuovo che era d'uopo andare a conoscere. Il nipotino era pero' a Genova e noi, come e' noto, eravamo in Toscana, a maggior ragione questa volta, perche' io ho tenuto le mie lezioni al Polo Scientifico di Sesto Fiorentino.
Il giorno indicato per andare dalla mia sorella a Genova, prepariamo i bagagli e ci armiamo a partire.
John aveva un appuntamento al dipartimento di matematica ed io, rimasta a badare i bambini, mi accingo a preparare tutto con l'intento di recuperarlo in Viale Morgagni e partire alla volta di Genova.
I bagagli sono assai per una misera Fiat 500 che ci deve portare in Liguria in quattro, ma io sono fiduciosa nelle mie capacita' di ottimizzazione.
Verso l'ora prestabilita, anzi con un po' di anticipo perche' non si sa mai, intenzionata a sfruttare il momento favorevole in cui Fabio dorme riverso sul letto e la Bianca si guarda i suoi cartoni sull'ipad, prendo tutti i bagagli, chiavi e casa e macchina e scendo giu' a caricare la macchina, lasciando i bambini in casa un attimo da soli (cosa che non si dovrebbe mai fare, lo so lo so lo so, non attaccate a rompere i coglioni senno' non vi racconto piu' nulla). Dico alla Bianca di chiamarmi dalla finestra se ha bisogno o se Fabio si sveglia, perche' sono giu' e mi puo' vedere e sto via solo un minuto.
Scendo a corsa, apro la macchina, appoggio chiavi di casa sul sedile posteriore, apro la bauliera, metto le valigie, mi scivolano le chiavi della macchina di mano nella bauliera, ignoro questo fatto, chiudo a forza la bauliera e la macchina... si autoblocca.
In un microsencondo.
Con le mie chiavi dentro, di casa e della macchina, i bambini chiusi in casa, le valigie dentro ed io che sono sola, che devo partire per Genova previo recupero del marito.
Inutile sottolineare cosa' e' venuto giu' perche' a questo punto lo sapete.
Dopo 10 sec di totale back-out da panico, inizio a vagliare mentalmente le possibili soluzioni.
"First thing first" come mi dico sempre quando sono in procinto di mandare all'aria un esperimento che coinvolge 20 topi e 2 mesi di lavoro altrui.
Per prima cosa devo recuperare i bambini. Questo e' facile, c'e' chi ha una copia delle chiavi di casa proprio li accanto. Corro a prendere copia chiavi e corro in casa a controllare che loro siano OK. Fabio sempre dorme, la Bianca, concentrata sui suoi cartoni, e' ignara del mio dramma interiore. Ottimo. Le dico che esco un secondo.
Ora devo recuperare la macchina. Mi sovviene che sotto casa c'e' un'autofficina con la quale avevamo avuto un primo incontro, non proprio fruttuoso, l'anno prima per la C3 (vedi post precedente) - anno precente: sieee, son le 5 domani e' la vigilia di Natale, io ora chiudo, per la vostra C3 non so che fare -
In linea con quanto mi aspettavo, il signore dell'officina mi dice: "sieee io mica posso aiurtarti (fava - questo si sente dal tono della voce-), qui ci ti vuole il carro attrezzi" "Il carro attrezzi? e per cosa?" "Per aprire la portiera" "Ah, aprono le portiere cosi'?" "Si, lo fanno tutti i giorni... sa... se era una Golf era un casino, ma una cinquecento in 5 minuti fanno". Ottimo... c'e' da stare sereni e sicuri. Siamo in una botte de fero.
Chiamiamo alcuni carro attrezzisti amici suoi, tutti occupatissimi a rimuovere macchine in divieto di sosta. Finalmente uno risponde e dice che arriva tra un po'.
"Gli puoi dire che e' urgente?" "Sieee ora viene subito perche' tu lo chiami te".
Gia', scusa, per quale motivo un soccorso stradale dovrebbe venire se uno ha un problema... coi suoi tempi, coi suoi tempi...
Recupero i figlioli, che intanto erano alla finestra a seguire la scena e penso che, al momento, non c'e' null'altro da fare che scendere tutti a comprare un gelato nell'attesa dei soccorsi.
Proprio mentre avevo la bocca piena di bacio e buontalenti, oramai nemmeno di cattivo umore, perche' tanto lo so come gira il mio universo, arriva l'omino del carro attrezzi che in 5 minuti scassina la macchina della mia sorella e salva la giornata.
"Allora sono 50 euri".
Al mio sguardo da 'sticazzi' mi dice "Oh, sai, vengo da Rifredi".
Ah, allora hai fatto un viaggione (noi eravamo a Legnaia, tempo di percorrenza senza traffico 19 min, come da Google Maps), te le meriti tutte! Stai du' minuti coi bambini che li vado a prendere.
Ho pagato il babysitter improvvisato per il suo duro lavoro, recuperato a forza i figlioli che finivano il gelato sul carro attrezzi fra risate e sollazzi e, messi loro in macchina, con i finistrini aperti, le portiere aperte, le chiavi della macchina al collo, quelle di casa in bocca, ho finito di prepare tutto,  recuperato il marito e siamo partiti alla volta di Genova con solo un'oretta di ritardo.

Dovrei iniziare a mettere i mie skills di problem-solving sotto pressione sul mio CV.

Monday 21 March 2016

Rientri fantozziani parte terza

dinamica e elegante in tutta la sua imparcheggiabilità

Dicembre 2014
Per questa terza fantozzata mi serve un minimo di contestualizzazione.
John a Pisa aveva una C3 tutta scassettatta. Quella C3 e' stata a Firenze fuori casa mia per un po', fino a quando, nel Natale 2010, decidemmo di portarcela a Londra. Lassù ha fatto un gran servizio fino alla fine e cioè a quando, nel 2013, consci dell'imminente partenza per il Texas, abbiamo deciso di riportarla a Firenze. Quell'anno io e la Bianca (e Fabio in pancia), in attesa del visto per gli USA, passammo in Italia quasi due mesi. L'intento era di usarla per quel tempo lì e poi venderla, ma il piano fallì miseramente e, quando presi il volo per non tornare per un bel pezzo, provata dalla vita da mamma single incinta, pensai che la macchina fosse il minore dei miei mali. Così la lasciai parcheggiata in un campo, dove mi avevano assicurato che non avrebbe dato noia a nessuno. Per inciso (questa è una fantozzata bonus), in quel preciso viaggio verso l'aeroporto in cui avremmo poi abbandonato la macchina nelle mani di un'amica, la Bianca vomitò anche l'anima, lasciando così la povera C3 non proprio in ottimo stato.
L'inverno scorso, come molti ricorderanno, partii alla volta dell'amata terra natia in solitaria, con due bambini e 6 valigie. Il piano era ambizioso, ma studiato nei minimi dettagli: avrei fatto Houston-Londra-Oxford-Genova-Firenze, dove avrei recuperato la macchina, aspettato John e avremmo guidato alla volta di Palermo, dove avremmo passato il Natale, per poi ripassare da Londra e tornare a Houston a meta' gennaio.
Solo che quando arrivai a Firenze, mi sentii un po' stanca e valutai che non fosse facile recuperare la macchina vomitosa nel campo, che di sicuro avrebbe avuto la batteria scarica, con oltretutto due bambini piccini di cui uno che nemmeno stava in piedi. Sinceratami che la macchina fosse sempre li tutta intera, seppur puzzosa, mi misi l'anima in pace e aspettai che arrivasse John il 22 di dicembre.
Anzi, ora che mi sovviene, mi ero anche messa d'accordo con un amico per eseguire il recupero, ma il giorno prefissato io e i bambini eravamo stati colti da un virus cacaiola/vomito mortale e il mio amico col cazzo che ci si avvicinò (chi lo biasima).
Il giorno che John arrivava, nell'andare a prenderlo all'aeroporto, passai a controllare che la macchina non avesse davvero la batteria scarica, così da farla recuperare da John quella sera stessa e farla rimettere un minimo in sesto per il viaggio fino a Palermo.
Passo di lì e la macchina, surprise surprise, non c'è (il presente indicativo è usato per sottolineare quanto ancora, quando ci penso, mi si tappa la vena).
O come, c'era fino a qualche giorno fa.
Che ho sbagliato posto?
Sono rincoglionita?
Gira e rigira per tutti i campi e no... la macchina non c'è. No dai è perché è buio non la vedo, ma mi pareva fosse proprio lì.
Eccerto. Ora mi torna. Fino a ora era andato tutto liscio e vuoi che di grazia non ci sia un mega intoppo il giorno prima di una qualunque partenza?
Inizio l'usuale rosario di bestemmie, sempre meno sentito e colorato, ma, di anno dopo anno, sempre più sommesso e rassegnato. È necessario che io mi avveleni ogni rientro per bilanciare non so quale equilibrio cosmico.
In tutto questo mi stavo scordando che quello era in procinto di atterrare. Lo recupero e lo metto al corrente della buona novella: guarda tesoro, la macchina non c'è. L'altro giorno c'era e ora non c'è. Forse ce l'hanno rubata. Ma chi se la deve essere presa dopo tutto questo tempo. Forse ce l'ha portata via il carro attrezzi. Ma dal campo? a chi rompeva le palle dopo tutto questo tempo? Non era mica in divieto di sosta. Come si fa a andare a Palermo? Oh, mal che vada un si va. No dai si deve andare, come si fa? Si prende l'aereo. No, io non voglio volare, prendiamo una macchina a noleggio. Si ora... si guidava per portare la macchina giù e abbandonarla a tu' pa', ma senno' che senso ha. E via e via tutta la notte - ho volutamente omesso i vari inni a variegati dei animali -.
Il giorno seguente, abbandonati i bambini con la signora delle pulizie improvvisata babysitter, ci mettiamo alla ricerca della macchina perduta e, dai picchia e mena, viene fuori che sì, ce l'avevano portata via, perché era parcheggiata su strada (strada? era in un campo) con il tagliando dell'assicurazione esposto, che mostrava che l'assicurazione era scaduta. Una volta dimostrato che era solo il tagliando scaduto, ma l'assicurazione c'era, ce l'hanno resa, la stracazzo di macchina puzzosa, non senza farci pagare un bel po' di soldi di rimozione forzata e cazzi e mazzi. Ma tanto oramai io sono zen e prendo le multe come una donazione allo stato italiano. È il mio modo di contribuire, come dare in beneficenza a Emergency o a Cancer Research UK. Ah no, già, pago anche le tasse su un affitto che non riscuoto, ma questa è un'altra storia, buona per un altro giorno.

p.s.
dopo un controllo base, la macchina puzzosa è risultata perfettamente funzionante e, fida, ci ha portato tutti a Palermo, seppure un po' pigiati, in quattro, con 8 valigie. Adesso è in Sicilia, a quanto pare tirata a lucido dal mi' suocero, e, se quelle quattro portiere potessero parlare, dall'alto del loro ritrovato splendore, ne avrebbero da raccontare delle belle.

Friday 18 March 2016

Rientri fantozziani parte seconda

Firenze Santo Spirito

Questa vi piacera' molto.

Settembre 2013
Una mattina vado a lavorare e non mi sento molto bene. Nel mentre ricevo una chiamata di mia sorella che la nostra zia vecchierella non si e' sentita molto bene nemmen lei e e' sotto osservazione all'ospedale.
Presa dal panico, e volenterosa di aiutare, decido di andare a Pistoia per il finesettimana lungo, in modo da dare un po' di cambio alla mia sorella in ospedale, che poveraccia ha il figlio di pochi mesi.
La sera mentre aspetto che John torni da Oxford, faccio test di gravidanza che risulta essere positivo (era Fabio).
E cosi', incinta e triste, mi incammino verso Pistoia.
Dopo aver passato un paio di giorni con zia e sorella all'ospedale, sinceratami che non ci fosse nulla di piu' grave del solito, la domenica decido di andare a Firenze a trovare un'amica, tanto la sera della domenica sarei dovuta andare a Pisa a riprendere l'aereo che mi avrebbe riportato a Londra in nottata.
Ora si noti che a settembre a Firenze e' estate e a Londra inverno, quindi io, coscenziosa ed esperta, ho abbigliamento per due stagioni nel mio fido bagaglio a mano, che gia' che ci sono riempio con un po' di roba maternity che avevo prestato alla mia sorella.
La mia amica mi viene a prendere alla stazione con il suo figliolo nuovo. Abbiamo poche ore prima che io debba riprendere il Terravision per Pisa, ma meglio poco che nulla. Lei, grazie al figlio nuovo, ha il permesso di parcheggio ovunque e quindi si molla la macchina, con il mio trolley dentro, e si va a godersela in Santo Spirito, in maniche di camicia, a suon di cioccolata, teino spocchia e chiacchiere.
Quando si fa una certa, ci dirigiamo verso la macchina per riprendere il trolley e andare alla stazione e... surprise surprise... la macchina ce l'hanno portata via.
Perche' la mia amica aveva si il pass per parcheggiare dappertutto, ma evidentemente li' no!
La macchina portata via con dentro il mio trolley, contenente tutta la mia roba inglese, comprensiva di portafoglio, oyster card, maglia, giacchetto e chiavi di casa. Per fortuna con me avevo portafoglio italiano, passaporto e biglietto bus da Gatwick a Londra centro. Per fortuna, perche' senno' sarei stata spacciata. Vabbe' dai, poteva andare peggio, un mal che si rimedia, o no?
Dopo un attimo di panico, in cui abbiamo cercato di capire se valesse la pena di recuperare la macchina prima della mia partenza, abbiamo realizzato che no, non ce l'avremmo fatta e che anzi, se non muovevo il culo, avrei perso anche l'aereo.
Mi devo spicciare, ma se corro ce la faccio e poi potrebbe andare peggio, no?
Si, puo' sempre andare peggio: per esempio puo' venire giu' il temporale!
Corro via verso Santa Maria Novella e arrivo alla fermata del Terravision, completamente fradicia, in maglietta, leggins e scarpe aperte bagnate, e l'omino mi dice con nonchanche che, signora guardi a causa della pioggia i viali sono bloccati, il bus non entra in centro, non c'e' speranza che arrivi a Pisa in tempo.
Firenze quando piove si blocca, si sa, del resto, essendo Firenze nel deserto, alla pioggia poverini sono sono avvezzi, vanno capiti.
Sempre piu' fradicia, corro dentro la stazione e di grazia salto su un treno per Pisa in ritardo che sta chiudendo le porte. Senza biglietto, a questo punto mi pare il minore dei mali.
Il controllore non passa, la sorte e' con me (bisogna sempre giocare a Pollyanna).
A Pisa, sempre piu' infreddolita, salto su un taxi e urlo al tassista di correre all'aereporto, il quale mi scoppia a ridere in faccia e mi dice, testualmente: "Non mi vorrai mica dire che perdi l'aereo eh, cosi' conciata, tutta molle e con codesta borsetta..." "si, sticazzi perdo l'aereo si... andiamo per piacere che per oggi di corse anche basta, che sono anche incita..."
Arrivo all'aereoporto in disperazione. Ho freddo, ma piu' che altro ho il terrore di cosa ne sara' di me una volta a Londra, di notte, con meno di 10 gradi.
Al che realizzo che, no, non tutto e' perduto. Che i negozi all'aereoporto sono ancora aperti e ci sono anche i saldi.
E io ho il portafoglio italiano con il bancomat.
La sorte e' davvero con me.
Acchiappo una camicina fricchettona orrenda e una felpa della marina militare pisana (che ho ancora), mi cambio nel bagno e ricomincio a risorridere alla vita.
Anche 'sta volta me la sono sfangata.
A Londra, con le scarpe aperte che a quel punto si erano asciutte, mi stringo nella mia felpa nuova, cambio 10 euri in pounds, prendo il mio bus per il centro, il mio bus per casa e, a notte fonda, entro nel mio letto calduccio sperando che tutto questo tramestio non abbia nuociuto al bambinuccio appena concepito.
Mentre mi assopisco mi ripeto che, come al solito, io in Italia non ci devo andare, ma che vaffanculo, se tutto va bene, questo sara' un grande aneddotto.

p.s.
Il tramestio non ha nuociuto, anzi Fabio e' un toro. Evidentemente ha capito subito come gira l'universo di  su' ma'. Il trolley me lo ha riportato un caro amico venuto a Londra a festeggiare il suo compleanno qualche tempo dopo. La roba puzzava un po' ma poteva andare peggio. Il compleanno del mio amico e' stato uno dei giorni piu' divertenti di sempre. Questo aneddotto anche. Dopo 3 anni...

Tuesday 15 March 2016

Rientri fantozziani parte prima

...NOT!

E' un po' che mi ripropongo di scrivere questo post, ma poi mi trattengo sempre, perche' non voglio farmi prendere per quella che si piange addosso, che le sfighe succedono a tutti.
Sacrosanto.
Ma a me succedono ogni volta che vado in Italia. Come se il mio karma italiano fosse cosi' lurido che devo scontarle tutte con anche gli interessi.
Reduce da una sfiga Houstoniana, fresca fresca come l'ova di giornata (stanotte mi hanno tagliato la luce per un errore con il pagamento automatico dell'ultima bolletta, sono sola coi bambini, la macchina e' rimasta bloccata in garage e c'era pure vento contro cui pedalare - meno male non pioveva), mi e' presa ispirazione di levarmi un po' di sassi dalle scarpe, presentarmi in versione frignetta e raccontare qualche sfiga Made in Italy.
Ne ho selezionate quattro, ma, giuro sull'animaccia mia dannata, che ce ne sono varie altre e succose. Siccome non voglio essere succinta, ho deciso che raccontero' una sfiga a post. Evvaffanculo

Natale 2012
Come e' noto siamo sempre randagi quando si rimpatria per Natale, specie da quando, nel lontano agosto del 2011, decisi di affittare permanentemente il mio amato/odiato appartamentino. Allora fu un fatto necessario, dato che avevamo appena comprato casa a Londra ed eravamo rimasti con 60 GBP in tasca.
Per il Natale dell'anno dopo pero' l'inquilino se ne era andato e, dato che noi dovevamo arrivare per l'ultimo dell'anno, quale migliore occasione di trascorrere una settimana nel mio appartamento e, gia' che c'eravamo, inaugurare il rientro in possesso temporaneo con la festa di Capodanno Children Friendly? E siccome il mio appartamento e' dietro la stazione del treno e davanti alla fermata del bus, perche' mai avremmo dovuto prendere una macchina a noleggio?
Arriviamo cosi' trafelati il 31 pomeriggio, dopo volo dalla Sicilia, terravision da Pisa a Firenze e bus dalla stazione a casa, entriamo in casa e... ci hanno staccato la corrente. Eh si, perche' il mio inquilino, liberando l'appartamento, aveva disdetto il contratto e omesso di rimettere il contratto a nome mio. In meno di 24 ore l'Enel aveva ben pensato di lasciare al buio la casa, senza se e senza ma. Ma che magnifica efficienza. Fiduciosa che la stessa efficienza si sarebbe verificata al momento in cui avessi chiesto di riattaccare la corrente a nome mio, chiamo il servizio clienti. Mi risponde una signora che mi dice che per riattaccare la luce ci vogliono almeno 5 giorni lavorativi, che, sa come e' signora, siccome sono le vacanze di Natale anche 10, che costa piu' di 100 euro e che per stasera proprio non c'e' nulla da fare. Ne' per stasera, ne' per il resto della nostra permanenza italiana.
Quindi sono le 6pm dell'ultimo dell'anno e siamo a) stanchi, b) con una bambina di poco piu' di un anno infreddolita, c) con una festa di capodanno da riorganizzare, d) con un tetto da trovare ed e) a piedi.
Le madonne hanno iniziato a fioccare rosee giu' dal cielo con angeli, arcangeli e suoni di flauti sempre piu' fluttuose e abbondanti via via che chiamavamo alberghi tutti pieni e noleggi macchina tutti chiusi. In quel momento ho giurato e spergiurato che mai piu' e mai poi sarei tornata in Italia. Perche' nessuno si merita si rientrare in casa per le vacanze di Natale e avere questo tipo di accoglienza.
Se solo avessi mantenuto quella promessa le prossime tre sfighe non sarebbero potute essere narrate.

p.s.
La festa di capodanno, dopo varie negozziazioni, fu spostata a casa di un'amica e noi ci collocammo a casa di un altro amico, che ci presto anche la sua mitica pandina oramai defunta.
Forse e' perche' ho dei grandi amici che alla fine torno in Italia.
E perche' mi da' sempre dell'ottimo materiale su cui scrivere.

Friday 11 March 2016

Emigrante - Schema 2


Venire via dall'Italia (oramai non posso nemmeno piu' dire Toscana, perche' sto sviluppando un notevole attaccamento alla Liguria) non e' mai facile. Quest'anno sono stata solo due settimane e mi e' sembrato tanto tempo. Ammetto di essere in difficolta' a rientrare nei ranghi. Mi abbiocco alle 9 di sera, mi sveglio prestissimo e vorrei tanto mangiarmi un schiacciata genovese con un cappuccino di Giorgio. La casa e' un disastro di  valigie semiaperte, panni sporchi sparsi ovunque, panni puliti da mettere via, giocattoli in ogni dove.
Eppure mentre sto scrivendo questo post sulla mancanza/lontananza/sounasegaselasegasegaotaglia, mi sento ridicola. Ho superato la homesickness, questa nebbia nella testa e' qualcosa di diverso che non riesco a mettere a fuoco. 
Forse e' solo jet-leg.
Oramai non ho da discutere su cosa sia cosa, su cosa sembri casa e tutte quelle cose li da emigrante alle prime armi. Oramai so quale e' il mio posto, qua e la' e in ogni dove. So che gli amici restano, che i nipoti non si scordano degli zii, che i posti del cuore non cambiano poi tanto - nonostante la tranvia-. Pero' so anche, con ragionevole certezza, che l'Italia non e' posto per noi. Non torneremo, per molti anni ancora, forse mai piu' e, terribile ma vero, adesso sembra giusto cosi'.
E allora cosa mi disturba? Ho forse paura che gli amici mi vogliano vedere solo perche' si conviene? Che i posti del cuore siano solo immaginari? O peggio, che i posti del cuore non siano piu' li, come ti piacerebbe credere, ma altrove? Sul South Bank per esempio,  che la B non mi ha perdonato che non si sia passati da Londra. 
Forse sto passando alla fase due, quella dell'emigrante navigato, che si e' stufato da quel di' di cercare l'Italia nei supermencati del resto del mondo, che fa benissimo a meno del bidet, che riesce a concepire una colazione a base di bacon e che comincia a non avere problemi a pensare che i propri figli studieranno la Storia da un punto di vista diverso (anzi, su questo, non vede l'ora).
L'emigrante che si e' reso conto che il paese di origine e' una meta da vacanza e lo vede con gli occhi di uno straniero.
Resta quella bolla di torpore nella testa che non si sa cosa sia.
Forse faccio fatica a accettore quello che ho appena scritto.
Ma forse e' davvero solo il jet-leg.