Pitù, per chi mi ha conosciuto nel periodo post-war, è il mio apelido (nome) di capoeira.
La capoeira per anni (molti anni) per me non è stato solo un hobby o uno sport, ma uno stile di vita, una missione, un secondo lavoro. Oserei quasi dire che J, B e F esistono a causa o grazie (?) alla capoeira.
Quella storia d'amore è ampiamente descritta nell'esordio di Storie a Caso e in altri blogs, guarda caso scritti a quattro mani con la Veronica, con cui adesso ragioniamo di figlioli, fasce e pannolini.
Qui come la storia ebbe inizio, qui come ha continuato anche dopo che io sono partita.
A Londra non ho mai trovato niente che mi piacesse al punto di accollarmi le ore di viaggio per andare a lezione, specialmente dopo l'arrivo della prole. Dopo un tentativo fallito di allenamenti autogestito, durante la seconda gravidanza ho deciso di dare forfeit. Erano ormai svariati anni che non mi allenavo più. Quell'amore, come ogni altro amore che non viene nutrito e annaffiato, si era perciò inaridito al punto che ho pensato che la Pitù non esistesse più.
Ma forse il vero amore non muore mai, anche se viene seppellito sotto quintali di cenere (o merda a scelta).
Così l'altra sera mi sono fatta trascinare agli allenamenti. Bambini al seguito.
Ovviamente a fine aula reggevo l'anima coi denti e sono in uno stato fisico imbarazzante, ma l'energia... quella è tornata subito su.
La Pitù, che per tanti anni ha dormito, ha rizzato il capino.
Emozioni sommerse chissà dove sono riaffiorate, così come le parole delle canzoni e il piacere di giocare in una roda, senza imbarazzo né vergogna, senza pretese, manie di protagonismo o ansia da prestazione. Tanto per divertirsi, come uma galera di gente boa.
La Pitù, che meravigliosamente ha rivestito i suoi panni bianchi per una sera, spera non sia stato solo il canto del cigno e di poter continuare a farlo ogni tanto, tipo una volta a settimane, sempre figli al seguito, ovviamente.
grande ammirazione. A me pare una di una difficoltà inavvicinabile.
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